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Libertà civili e immigrazione: parla Michele Di Bari, capo Dipartimento del Viminale

E'forse la sfida più importante del nostro tempo quella dell'immigrazione, perché coinvolge in modo pressoché speculare tutti i livelli della società, dal piano politico a quello assistenziale fino alla prova più complessa, quella dell'intergrazione. In un momento in cui la rotta del Mediterraneo continua a essere battuta dalle imbarcazioni in partenza dal Nord Africa e, a tornate regolari, si pone la sfida della ripartizione, si rende urgente una forte sinergia fra le varie autorità statali europee, al fine di creare una rete assistenziale che regoli i flussi migratori favorendo e accompagnando il percorso di integrazione. In Terris ne ha parlato con Michele Di Bari, ex prefetto di Reggio Calabria e attuale Capo del Dipartimento per le Libertà civili e l'immigrazione al Ministero dell'Interno.

Dott. Di Bari, da una Prefettura importante come quella di Reggio Calabria al Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione al Ministero dell’Interno, un ruolo diverso e che, per certi versi, l'attuale momento storico rende altrettanto delicato: in cosa consiste, nel concreto, il suo lavoro?
“Nella mia nuova responsabilità di Capo Dipartimento per le Libertà civili e l’Immigrazione, di cui ringrazio per la fiducia il Ministro dell’Interno, è sicuramente cambiata la prospettiva e oggi mi trovo ad affrontare temi che mi stanno molto a cuore, quali gli interventi a garanzia delle libertà e la gestione del fenomeno migratorio. Non è cambiata la volontà di azioni celeri e puntuali per dare un'efficace risposta ai problemi nella cornice di stretta legalità”.

La questione dell'immigrazione attraverso il Mediterraneo continua a rappresentare una delle sfide più urgenti per il nostro Paese. Le recenti politiche, non solo del nostro Paese ma a livello Europeo, mirano a porre un freno agli ingressi clandestini ma anche a stimolare un maggiore intervento dell'Europa: a che punto siamo con le politiche di ripartizione?
“Il tema è complesso perché occorre coniugare i principi di solidarietà e responsabilità. A livello tecnico gli uffici sono impegnati attivamente nella valutazione delle procedure più idonee per attuare materialmente la possibilità di ripartire persone”.

In queste ore si è rapidamente gonfiato un nuovo “caso Sea Watch”. La questione delle ong in mare continua a essere fonte di dibattito fra i Paesi dell'Unione europea, che portano le attività di soccorso a trasformarsi in casi politici e anche legali, che si ripropongono con una certa frequenza. Questo rappresenta un deterrente alla ridistribuzione fra gli Stati membri?
“In realtà sul piano operativo si lavora molto bene con i colleghi europei. Più complesso è il coordinamento con il piano politico dei singoli Paesi. Il tema è evidentemente molto sensibile per l’opinione pubblica”.

A proposito di Europa, nelle scorse ore il commissario per i Diritti umani del Consiglio d'Europa, Dunja Mijatovic, ha toccato proprio il tema delle ong, dicendosi preoccupata “per l'atteggiamento del governo italiano nei loro confronti” e auspicando l'assegnazione rapida di un porto alla Sea Watch, esprimendo perplessità anche sul D.L. sicurezza e “per l'impatto che alcune parti del decreto potrebbero avere sulla vita delle persone che necessitano di essere salvate in mare”…
“Nel nostro Paese ogni decisione è presa nell’ambito della più stretta legalità e il quadro è sicuramente garantista. Non a caso anche il Tribunale Amministrativo Regionale ha rigettato il ricorso presentato per la Sea Watch. Quindi è il sistema complessivo che dà le garanzie di tutela dei diritti fondamentali”.

La questione dei corridoi umanitari rappresenta una soluzione importante. Lavorando in questo senso, pensa si possa porre un argine significativo alle partenze via mare o sono necessarie altre misure di prevenzione?
“Certamente. Credo molto in tutte le diverse azioni riconducibili ai cd corridoi umanitari. Garantire che la persona bisognosa di protezione sia protetta sin dal proprio viaggio verso una vita migliore è evidentemente una priorità per tutti”.

La crisi migratoria ha sortito effetti significativi anche sulla popolazione italiana: esiste, secondo Lei, la problematica di un rigurgito di razzismo e di altri sentimenti anti-straniero?
“La nostra società è profondamente cambiata negli anni, anche a seguito dei massicci flussi migratori che hanno portato nel nostro Paese tante persone in fuga dalla guerra e dalla povertà, in cerca di condizioni di vita migliori. L’Italia ha fatto e continua a fare un grande sforzo per accogliere e integrare i migranti regolari nel nostro tessuto economico e sociale, cercando di offrire una prospettiva di progresso e crescita, che rappresenta al tempo stesso un miglioramento per i singoli e per il sistema Paese”.

In questo senso, spesso fondamentale si è rivelata la collaborazione della Chiesa cattolica: quanto è importante la sinergia fra lo Stato e l'istituzione ecclesiale in questioni così complesse e, ogni volta, bilanciate fra l'urgenza di dare risposte ai cittadini e offrire un supporto sul lato umanitario a chi, a sua volta, affronta il dramma della migrazione?
“La questione migratoria travalica spesso i confini di un solo Paese e necessita di essere affrontata insieme, come più volte Papa Francesco ha chiesto all’Europa, rivolgendosi alla Comunità internazionale e non mancando di apprezzare lo sforzo ingente che l’Italia ha profuso. Il Santo Padre ha anche richiamato in più occasioni l’importanza di coniugare i principi di umanità con la concreta realizzazione di processi integrativi. Mi piace sottolineare l’enorme importanza della sinergia fra lo Stato e l'istituzione ecclesiale e, ancora una volta, mi richiamo alle parole del Santo Padre che ai partecipanti al Forum internazionale Migrazioni e Pace ha affermato che 'l’integrazione, che non è né assimilazione né incorporazione, è un processo bidirezionale, che si fonda essenzialmente sul mutuo riconoscimento della ricchezza culturale dell’altro… Chi arriva è tenuto a non chiudersi alla cultura del Paese ospitante, ma a rispettarne innanzitutto le leggi'. Gli sforzi del Dipartimento sono proprio volti a valorizzare l’integrazione dei migranti regolari”.

Oggi si celebra la giornata mondiale dei profughi, qual è attualmente l’identikit del richiedente asilo in Italia?
“Nel corso degli ultimi anni la gravità delle situazioni che segnano le sorti di intere regioni del Medio Oriente e dell’Africa settentrionale e subsahariana ha posto l’area mediterranea al centro di spostamenti forzati di persone: flussi complessi in cui si sommano e si intrecciano guerre, persecuzioni e/o sistematiche violazioni dei diritti umani, disastri ambientali e cambiamenti climatici, nonché profonde crisi socioeconomiche e del continuo impoverimento di ampie fasce di popolazione. Alle Commissioni Territoriali compete la valutazione dei requisiti per il riconoscimento della protezione internazionale (status di rifugiato o protezione sussidiaria) o, in caso di rigetto, la valutazione dell’applicazione del principio del “non refoulement”. Il decreto legge n. 113/2018 ha codificato la cd. protezione complementare – attribuita alla competenza delle Questure – tipizzando la 'protezione umanitaria' per motivi sanitari, calamità naturali, grave sfruttamento lavorativo, tratta degli esseri umani, violenza domestica, particolari atti di valore. Attualmente le tre aree geografiche che fanno registrare il maggior numero di richieste di protezione sottoposte all’attenzione delle Commissioni sono Nigeria (12%), Pakistan (6%) e Bangladesh (3%). I migranti provenienti dai primi due Paesi sfuggono da situazioni politiche particolarmente instabili, quali persecuzioni e violazioni di diritti umani e, nel caso della Nigeria, sono soprattutto donne vittime di tratta. I migranti provenienti dal Bangladesh, invece, sfuggono principalmente da situazioni socio-economiche molto critiche”.

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