Il dibattito sulla legge elettorale segna la fine dell’alleanza tra Matteo Renzi e Angelino Alfano e quindi, di riflesso, tra Pd e Ap aprendo crepe nella tenuta dello stesso governo Gentiloni. Casus belli è la soglia di sbarramento al 5% inserita nel modello tedesco sul quale l’ex premier ha trovato l’accordo con Forza Italia e Movimento 5 Stelle.
Alfano “ha fatto il ministro di tutto, se non arriva al 5 non si blocca il Paese” ha detto il leader dem al termine di una giornata dove il ministro degli Esteri aveva respinto al mittente l’accusa del “veto” dei piccoli partiti, sostenendo che fosse proprio l’ex alleato “ad aver fatto cadere i governi“.
La riforma elettorale sembra correre veloce verso la meta: alla Camera sarà approvata in tempo lampo, dal 5 al 9 giugno, e l’intesa tra Pd, Fi e M5S prevede il via libera del Senato entro il 7 luglio. Un’accelerazione che i “piccoli”, soprattutto Ap e Scelta Civica, ma non Si e Mdp non contrari al tedesco, vorrebbero impedire ma nei fatti hanno le mani legate. “Se salta il tedesco resta il Consultellum dove la soglia è all’8 per cento”, ha avvertito Renzi, ribadendo che il modello su cui si è trovata una larga intesa “non è la prima scelta del Pd ma è di buon senso“. Più soddisfatto si è detto l’altro protagonista dell’accordo, Silvio Berlusconi: “Si potrà finalmente restituire la parola agli italiani, consentendo agli elettori, dopo quattro governi non scelti dai cittadini, di decidere da chi vogliono essere governati”. Perché, nonostante nessun leader voglia suonare il gong, l’impressione è che, come sempre, l’approvazione della legge elettorali porti ad elezioni anticipate.
Un’ipotesi che non trova d’accordo nel Pd Andrea Orlando il quale avrebbe preferito anche una riforma elettorale che favorisse l’unione del centrosinistra. Il Guardasigilli sente puzza di larghe intese dopo le elezioni e, guardando a Giuliano Pisapia e agli ex compagni di Mdp, ha chiesto a Renzi un referendum sul nodo delle coalizioni. D’altra parte lo stesso segretario dem ha ammesso che “è evidente” che il sistema tedesco non produca maggioranze certe” e in quel caso bisognerà “vedere i numeri in Parlamento“. Ma il Pd, ha aggiunto, punta ad avere maggioranze certe. Obiettivo che, da sinistra, Pisapia vede a rischio: “Il tedesco non serve per garantire quella governabilità che è necessaria per il rilancio del Paese”, ha detto l’ex sindaco di Milano che ha rotto gli indugi e ha confermato per l’1 luglio il battesimo, a Roma, di un “nuovo grande centrosinistra“.
Sui tempi del voto, secondo il leader dem, “votare sei mesi prima o dopo non cambia molto“. Ma Alfano lo ha incalzato: “Renzi non risponde alla domanda cruciale se fa cadere o no Gentiloni”. Per Luigi Di Maio, invece, il Pd “ora vuole andare al voto perché ha paura delle elezioni regionali in Sicilia”. Il segretario Pd ha ostentato indifferenza tra le urne ad autunno o a scadenza naturale della legislatura. Ma ha definito “una barzelletta il terrorismo psicologico” sul rischio di un esercizio provvisorio per incapacità di fare entro dicembre la legge di stabilità.
Le opzioni, nel caso si votasse in autunno, sono due, ha chiarito Renzi: “Se voti ad ottobre la legge di bilancio la fa il nuovo governo, se ci sono problemi, invece, un governo è in carica finché non ne subentra uno nuovo. Gentiloni quindi predisporrà la manovra o lascerà il testimone agli altri”. Dal canto suo, il Pd è pronto anche ora ad anticipare la manovra e fare “accordi con chiunque se inspirata alla flessibilità e alla riduzione delle tasse”. Neanche M5S, che freme per votare a settembre, sembra preoccupato della coincidenza tra urne e legge di stabilità. “Ora vedremo quale sarà l’iter della legge elettorale – ha sostenuto Di Maio – per capire se i partiti stanno davvero facendo sul serio: io auspico comunque che si voti a settembre affinché il governo, che auspico sarà dell’M5S possa fare una legge di bilancio che non sia lacrime e sangue“.