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Legge contro la propaganda fascista: la Camera approva

Alla riapertura dopo la pausa estiva, la Camera ha approvato ieri il ddl Fiano che introduce il reato di propaganda fascista. Il voto è passato con 261 sì, 122 no e 15 astenuti. Ora il testo passa in Senato, dove l’approvazione resta un’incognita per via dei numeri più incerti della maggioranza.

Proteste di Fratelli d’Italia

Visto l’acceso dibattito sul testo che ha attraversato l’estate, prevedibili le contestazioni al momento del voto in aula. Contrari centrodestra e Movimento 5 Stelle, che ha definito il provvedimento “liberticida”. I più agitati i deputati di Fratelli d’Italia. Il capogruppo Fabio Rampelli ha attaccato il ddl sostenendo che “vuole mandare il galera chi produce il vino ‘bevo nero e me ne frego’ e introduce la persecuzione della libertà d’opinione”.

La leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, ha commentato su Twitter l’approvazione alla Camera del testo: “Follia Pd: bocciata alla Camera la proposta di discutere subito la mozione ’no Bolkestein’ di FdI. La loro priorità? Il delirante ddl Fiano“.

Fiano: “Ancora attuale compito di combattere nazi-fascismo”

Per Emanuele Fiano, PD, primo firmatario del testo, è invece una legge necessaria: “Il principio di libertà è alla base della legge che noi abbiamo fortemente voluto. Perché a 65 anni dalla Legge Scelba non è affatto scolorito il compito di combattere l’ideologia nazi-fascista, la carica di violenza razzista e di odio che essa comporta“, ha dichiarato.

Il testo

La nuova formazione introduce l’articolo 293-bis nel codice penale: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque propaganda i contenuti propri del partito fascista o del partito nazionalsocialista tedesco, ovvero dei relativi metodi sovversivi del sistema democratico, anche attraverso la produzione, distribuzione, diffusione o vendita di beni raffiguranti persone, immagini o simboli a essi chiaramente riferiti, ovvero ne fa comunque propaganda richiamandone pubblicamente la simbologia o la gestualità, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni. La pena è aumentata di un terzo se il fatto è commesso attraverso strumenti telematici o informatici”.

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