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Le vie della tratta sono (quasi) infinite

Anche se cerchiamo di ignorarlo, la schiavitù non è qualcosa di altri tempi. Di fronte a questa realtà tragica, nessuno può lavarsi le mani se non vuole essere in qualche modo complice di questo crimine contro l’umanità. Non possiamo ignorare che oggi esiste la schiavitù nel mondo, tanto o forse più di prima. Preghiamo per l’accoglienza generosa delle vittime della tratta delle persone, della prostituzione forzata e della violenza”. Così Papa Francesco è tornato a condannare la tratta di esseri umani, in un videomessaggio reso noto dalla Santa Sede, alla vigilia della V° Giornata Mondiale di Preghiera di riflessione contro la tratta di persone, che ricorre ogni anno l’8 febbraio, in occasione della memoria liturgica di Santa Giuseppina Bakhita, la religiosa canossiana, originaria del Sudan, che da bambina fu rapita e poi più volte venduta al mercato degli schiavi
Tema di quest’anno: “Insieme contro la tratta di persone”. Secondo Papa Bergoglio infatti a mancare è soprattutto una presa di responsabilità comune e una più decisa volontà politica per riuscire a vincere questo fenomeno, su cui troppo spesso si resta in silenzio. Responsabilità verso quanti sono caduti vittime della tratta, per tutelarne i diritti, per assicurare l’incolumità loro e dei familiari, per impedire che i corrotti e i criminali si sottraggono alla giustizia e abbiano l’ultima parola sulle persone. Un lavoro di sensibilizzazione che per il Pontefice, deve però cominciare da casa, da noi stessi, “perché solo così saremo capaci di coscientizzare le nostre comunità, stimolandole ad impegnarsi affinché nessun essere umano sia più vittima della tratta”, come aveva affermato lo scorso anno quando aveva ricevuto in udienza, i membri del Gruppo Santa Marta, l’organizzazione che riunisce i leader delle forze dell’ordine e della Chiesa impegnati su questa problematica.

Il fenomeno

La tratta di persone è una realtà in preoccupante crescita, alimentata dal costante incremento della domanda che continua così ad alimentare l’offerta, determinando un giro di affari internazionale sempre più organizzato ed estremamente redditizio, con cifre da capogiro: le “industrie del sesso” sono ormai diventate delle vere e proprie multinazionali. Povertà, disoccupazione, conflitti regionali e discriminazioni etniche, sono alcune delle ragioni che spingono le persone a lasciare i Paesi d’origine divenendo facili prede delle organizzazioni criminali coinvolte nella tratta di esseri umani.
Secondo il recente rapporto dell’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine (Unodc), stilato su 142 Paesi, sono 40 milioni i nuovi schiavi in tutto il mondo. Ad aumentare è soprattutto il traffico di bambini, che ora rappresenta il 30% del totale, e che in regioni come l’Africa Subsahariana e l’America Centrale e Caraibi, raggiunge addirittura il 64%.
Lo scopo principale della tratta resta comunque lo sfruttamento sessuale, che nei Paesi europei raggiunge quasi il 59% dei casi. Al centro dell’attenzione dello studio dell’Unodc, è anche l’impatto dei conflitti armati sul traffico persone, come nel caso delle donne nei campi profughi del Medio Oriente, fatte “sposare” a forza, e condannate al mercato del sesso nei Paesi confinanti.
Le rotte del traffico sono numerose e costantemente soggette a modifiche per eludere i controlli e rispondere alle esigenze organizzative dei gruppi criminali.

Sfruttamento Sessuale in Italia

In Italia secondo i dati dell’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, le vittime della prostituzione sarebbero fra le 75 mila e le 120 mila, di cui il 37% minorenni, mentre i clienti sarebbe quasi 9 milioni.
L’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, ha denunciato in particolare il significativo aumento delle vittime di tratta fra gli adolescenti. Molte di queste – in genere di ragazzine – al momento dello sbarco si dichiarano maggiorenni, seguendo le indicazioni dei trafficanti. In questo modo, riferisce l’Oim, vengono collocate in strutture di accoglienza per adulti, dove possono contattare i loro trafficanti, i quali riescono poi a prelevarle senza particolari difficoltà.
Per quanto riguarda le giovani nigeriane, il reclutamente avviene a Benin City, nelle aree rurali e nei villaggi più remoti degli Stati dell’Anambra, del Delta e di Lagos. Il viaggio, per queste ragazze è un incubo fatto di abusi e violenze, molte vengono costrette a prostituirsi già in Libia nelle cosiddette “connection house” per iniziare a pagare il debito contratto con i trafficanti al momento della partenza – che varia tra i 20 e i 50 mila euro – e che viene spesso siglato da un rito magico, noto come vudù. Per questo rafforzare la cooperazione, per proteggere le vittime e assicurare i criminali alla giustizia, si configura come uno degli obiettivi prioritari del programma di sviluppo sostenibile, promosso dall’Onu.

Il caso di Caserta: il traffico di organi

Ma il fenomeno della tratta non si limita solo alla prostituzione. Di un pool di polizia internazionale, di cui fa parte anche l’Fbi, ha iniziato a indagare in Campania, su un presunto traffico di organi destinati agli ospedali di diverse città americane, e che vedrebbe coinvolta anche la camorra. Ad avvalorare l’inchiesta alcune storie di ragazze nigeriane, raccolte da un gruppo di volontari della diocesi di Caserta, che avrebbero affermato che chi gestisce la tratta non si accontenterebbe più di sfruttare i loro corpi, ma li vorrebbe anche come “pezzi di ricambio” per guadagnare ancora di più. Secondo alcune la vendita di un rene frutterebbe addirittura 5.000 euro. Un business, quello dei trapianti illegali, che a livello mondiale secondo la fondazione statunitense Global financial integrity, varrebbe 1,4 miliardi di dollari.

Turismo sessuale minorile

C’è poi la piaga del turismo sessuale minorile, nel quale all’Italia spetta un triste primato. E’ tra i primi sei Paesi al mondo da cui partono ogni anno i clienti di minori costretti a prostituirsi (circa 80 mila), insieme a Francia, Germania, Regno Unito, Cina e Giappone. Tra le mete più ambite, Thailandia e il Brasile.

Sfruttamento Lavorativo: la colonizzazione cinese dell’Africa

Sui Paesi di origine della tratta – in particolare quelli subsahariani e mediorientali – pesa poi il neocolonialismo di alcune super potenze economiche. Tra i casi più eclatanti vi è quello della Cina, che oltre a detenere l‘85% del capitale dell’Hambantota International Port Group in Sri Lanka, attraverso le sue più importanti multinazionali sta proseguendo indisturbate la conquista del continente africano, con un piano di investimenti di oltre 60 miliardi di dollari, fatto di infrastrutture, delocalizzazione della produzione e manodopera, in cambio di risorse naturali. Ciò ha un prodotto un flusso migratorio imponente dalla Cina, che dal 2012 è continuato senza sosta e che allarma i Paesi occidentali abituati a dettare legge sul continente più povero del pianeta. Il numero di immigrati cinesi in Africa già nel 2017, superava, infatti, il milione e mezzo di unità. Ma si tratta di una cifra probabilmente sottostimata, e comunque sette volte superiore rispetto alle 160 mila del 1996. Una vera e propria egemonia che starebbe consentendo anche ad alcuni gruppi criminali di impiantare case di tolleranza clandestine a conduzione cinese.

La sfida

La lotta a un fenomeno così complesso può passare, quindi,  solo attraverso un lavoro portato avanti a livello internazionale con la promozione e il rafforzamento del dialogo e della cooperazione tra Paesi, come indicato più volte Papa Francesco. Altrimenti sarà impossibile contrastare chi sfrutta il “sogno” di migliaia di persone che cercano di migliorare le proprie condizioni di vita.

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