Dalle stelle allo stallo” è l'emblematico titolo scelto da Sigmagazine – periodico di riferimento di produttori, negozianti e consumatori di sigarette elettroniche – per raccontare, nel numero di novembre-dicembre, la fase critica vissuta dal settore. Nel 2014 il comparto in Italia era in pieno boom, oggi fatica ad andare avanti, mettendo a rischio risparmi, carriere e investimenti di 30 mila persone impiegate nelle aziende produttrici nostrane e nei circa 2.500 negozi attivi sul territorio. Un giro d'affari da 600 milioni di euro su cui si è recentemente abbattuta la scure del fisco. Senza dimenticare l'eterna querelle sugli effetti per la salute su cui mancano ancora risposte univoche da parte della comunità scientifica. Insomma, se fino a qualche anno fa l'elettronica era percepita come il miglior metodo per smettere di fumare risparmiando, oggi l'approccio dell'opinione pubblica è condito da maggiori cautele e sospetti. Ce ne ha parlato Stefano Caliciuri, direttore di Sigmagazine.
Dal boom alla crisi. Perché in Italia il mercato della sigaretta elettronica rischia di precipitare?
“Facciamo un passo indietro: tra il 2012 e il 2013 la sigaretta elettronica entra prepotentemente nel mercato italiano. Il fenomeno si diffonde, in un primo momento, grazie al passaparola dei fumatori che provano sulla propria pelle, anzi su propri polmoni, l'efficacia dello strumento. Nel 2014 a livello di Unione europea si comincia a parlare di una regolamentazione che, due anni dopo, si traduce in direttiva. Tale normativa, che riguardava in particolare la nicotina e le e-cig precaricate, viene recepita in toto dall'Italia nel 2017. Il governo, però, non considerando l'e-cig uno strumento di riduzione del danno ma, semplicemente, un 'qualcosa che si fuma' applica un'imposta di consumo. Le aziende fanno ricorso, il Tar sospende il balzello e rimette la questione alla Corte Costituzionale”.
La decisione della Consulta, a lungo attesa dal comparto, è una delle tre stangate che ha portato in dote la fine dello scorso anno…
“Esatto. I giudici costituzionali hanno riconosciuto la legittimità della tassazione sui liquidi senza nicotina. Questo costringerà le aziende a pagare un'imposta di consumo mai incassata, visto che il Tar l'aveva sospesa, in modo retroattivo su tutto il venduto. Si tratta di una danno da decine di milioni di euro per i produttori. L'altra stangata è arrivata dal Parlamento, con l'assoggettamento dei negozi a regime di monopolio. A questo si aggiunge il divieto totale di vendita online di liquidi, indipendentemente dal fatto che contengano o meno nicotina.Tre mazzate che hanno colpito produttori, rivenditori e consumatori”.
Perché questo accanimento?
“Da un lato c'è l'impostazione accentratrice, monopolista e nazionalista del nostro Stato, dall'altro la non conoscenza del prodotto che viene accomunato alle normali sigarette. L'Italia, il ministero della Salute e la stessa Corte Costituzionale considerano la sigaretta elettronica un veicolo al fumo. Il ragionamento sotteso è che i giovani che utilizzano l'e-cig saranno incentivati a passare alle sigarette classiche. Questo assunto non ha, però, motivo esistere, per almeno due ragioni…”
Quali?
“L'e-cig viene definita 'strumento di riduzione del danno' perché consente ai fumatori di assumere nicotina al netto di tutte quelle sostanze tossiche che derivano dalla combustione del tabacco. In secondo luogo non è vero che introduce i giovani al fumo, essendo vietata ai minori di 18 anni. Pertanto se un 14enne la fuma vuol dire che qualcuno ha commesso un illecito. Senza dimenticare quanti minorenni consumano regolarmente sigarette tradizionali…”
Nella genesi della crisi c'è stata anche qualche responsabilità di rivenditori e produttori? Negli anni del boom non sono mancate cineserie e prodotti scadenti che hanno raffreddato gli entusiasmi dei consumatori…
“Personalmente sono un sostenitore del libero mercato. Quindi non sono contrario all'idea che batterie, liquidi senza nicotina, atomizzatori e così via possano essere venduti al di fuori dei negozi specializzati. Viceversa è giusto che la vendita di prodotti contenenti nicotina sia soggetta a controlli, come prevede la direttiva Ue. Farei il ragionamento opposto: non va limitata l'immissione in mercato ma bisogna garantire il funzionamento del sistema di controllo. Aggiungo un dato: i Nas nel 2017 hanno ispezionato 219 negozi, su un totale di 2.500, elevando solo 19 multe. Meno del 10% di quelli controllati”.
Alcuni negozianti, di fronte alla possibilità del giro di vite fiscale materializzatosi lo scorso anno, hanno provveduto ad acquistare grandi quantità di prodotti quando la tassazione era ancora accettabile. Questo gli consente di mantenere ancora prezzi bassi. Cosa succederà quando finiranno le scorte?
“I prodotti fatturati nel periodo successivo alla sentenza saranno sottoposti a imposta di consumo, quindi 0,39 centesimi più iva ogni millilitro. Parliamo di circa 5 euro ogni 10 millilitri e 500 euro per un litro, per un prodotto che non vale più di 15 euro al litro. Credo non ci siano proporzioni simili al mondo per una cosa di questo tipo”.
Quanti negozi rischiano di chiudere?
“Tutti i negozi e tutte le aziende di produzione. Queste ultime rischiano di dover pagare 10 milioni di euro di tasse mai incassate ma retroattive a 18/20 mesi. I negozi, invece, dovendo sottostare a regime di monopolio, acquistare con imposta di consumo e rivendere a questi prezzi, rischiano la chiusura perché la gente sarà spinta a non usare più l'e-cig. In sostanza la signora Maria piuttosto che spendere 15 euro al giorno per una boccetta di liquido tornerà a fumare un pacchetto di sigarette classiche a 5 euro”.
In uno studio pubblicato in questi giorni la New York University sostiene che l'e-cig possa danneggiare il Dna. Subito è arrivata la replica del prof. Riccardo Polosa della Lega Anti Fumo, protagonista insieme a Umberto Veronesi di numerose battaglie a favore della sigaretta elettronica, che contesta il metodo utilizzato dagli studiosi americani. Anche quella sugli effetti di questo prodotto è una telenovela infinita…
“Negli ultimi 3 anni ci sono state 3.289 ricerche scientifiche sull'e-cig. Il 97% di queste sostiene che la sigaretta elettronica, paragonata a quella tradizionale, riduca il danno di almeno 95% (alcuni parlano persino del 99%). Il Regno Unito ha inserito nel proprio piano sanitario nazionale la diffusione di questo strumento di riduzione del danno e ha chiamato il 9 gennaio scorso il prof. Polosa a parlarne alle Camere. Non solo: un recente studio dimostra che essa non intacca l'elasticità polmonare, a differenza del fumo da tabacco. Le ricerche, insomma, cominciano a esserci, mancano quelle a lunga scadenza per un problema legato alla gioventù del settore. La prima a uscire sarà quella di un team italiano, coordinato dal prof. Lamberto Manzoli, che presenterà le sue conclusioni fra 3 anni, al termine di 7 anni di studi. E' molto atteso e costituirà una pietra miliare, indipendentemente dall'esito”.
La domanda è: fra 3 anni ci sarà ancora un settore attivo in Italia?
“Probabilmente non ai livelli attuali. Ma la sigaretta elettronica, volenti o nolenti, esisterà ancora. E' possibile ipotizzare una fase critica, di contrazione. Ma gli ex fumatori che sono passati all'e-cig difficilmente torneranno indietro. Governo e Parlamento dovranno tenerne conto. Proseguire sulla strada intrapresa nell'ultimo periodo determinerà la nascita di una zona grigia fatta di escamotage e soprattutto spalancherà le porte al mercato estero, in particolare quello online, che non può essere fermato”.
Produttori e rivenditori stanno facendo lobby in vista delle elezioni? Cosa chiederanno al nuovo governo?
“Sicuramente una rimodulazione dell'imposta di consumo. Attenzione: rimodulazione e non cancellazione. Credo sia uno dei pochissimi casi in cui una filiera accetta di pagare una tassa, purché sia equa”.