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LA RISCOSSA DEL MADE IN ITALY

C’è il ‘Parmesan’ prodotto nel Wisconsin, il ‘Prosecco’ made in Crimea, i ‘pelati’ made in China. Tutti prodotti che ovviamente con l’Italia non hanno niente a che fare, se non una vaga eco del nome e una spudorata contraffazione delle nostre eccellenze enogastronomiche. E’ il fenomeno dell’italian sounding che, come ha recentemente ricordato Coldiretti, nell’alimentare fattura vale oltre 60 miliardi di euro, quasi il doppio del valore delle nostre esportazioni agroalimentari.

A questo fenomeno di matrice estera, se ne aggiunge uno ancora più insidioso: quello dell’italian sounding di matrice italiana, che, ha spiegato ancora Coldiretti, importa la materia prima (come latte, carni, olio) dai Paesi più svariati, la trasforma e ne ricava prodotti che successivamente vende come italiani senza lasciare traccia della falsificazione. Un meccanismo di dumping che danneggia e incrina il vero Made in Italy, perché non esiste ancora per tutti gli alimenti l’obbligo di indicare la provenienza in etichetta.

Per contrastare questa deriva, nell’anno dell’Expo, arriva un piano straordinario sul ‘Made in Italy’: la legge di stabilità per l’esercizio 2015 ha infatti attribuito uno stanziamento triennale straordinario alle attività di promozione e sviluppo dell’internazionalizzazione dei prodotti e dei servizi Made in Italy. L’ammontare complessivo è pari a 220 milioni di euro di cui 130 nel 2015. La lotta alla diffusione dei falsi prodotti italiani avverrà anche attraverso un piano di comunicazione rivolto ai ‘mercati obiettivo’, cioè Usa e Canada, con possibilità di espansione ad altri Paesi del continente americano come Messico e Brasile. Si tratta di aree dove il fenomeno dell’italian sounding si presenta particolarmente rilevante.

 

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