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La parabola del Mediterraneo, da “Mare nostrum” a luogo di crisi

“Se una persona va a rivedere quello che abbiamo alle spalle, si accorge della grandissima ricchezza, della miniera di cultura e di scambio che rappresenta il Mediterraneo. Ci si è messo tantissimo per costruire un'identità comune”. Il Comandate e Senatore Gregorio De Falco, eletto con il Movimento 5 stelle, poi passato al gruppo misto in polemica con la leadership di Luigi Di Maio, è molto disponibile a rispondere alle domande di In Terris, nonostante la calura della sala stampa dove lo raggiungiamo. È venuto a sentire le dichiarazioni dei portavoce della ong, dopo l’esclusione in extremis dei rappresentati della Sea Watch dall'audizione, dopo l'ultimo caso.“Fino a 5 anni fa, all'epoca dell'operazione Mare nostrum nel 2014, chi avesse compiuto atti come quelli posti in essere dal comandante della Sea Watch e dalla Mar Ionio sarebbe stato perlomeno insignito di un onore, non dico una medaglia ma qualcosa del genere. Ora invece queste persone vengono criminalizzate”, ci spiega l'ex ufficiale di Marina.

Una rapida rivoluzione

Oggi il tratto di mare tra il nord Africa e le coste meridionali dell'Italia “è il più pericoloso al mondo”, racconta Marco Bertotto, di Medici senza frontiere, alla platea presente nella sede della Stampa Estera di Roma: “La chiusura dei porti, il progressivo ritiro degli assetti di coordinamento, il rifiuto di collaborare con le navi di soccorso delle ong e il disincentivo posto alle altre navi di effettuare soccorsi, ha come conseguenza gravissima l'aumento – pari a 4 volte – della mortalità del viaggio rispetto all'anno scorso. Morti evitabili che evidenziano ancora una volta l'incapacità di trovare una soluzione europea di buon senso” per il mar Mediterraneo.“Le ragioni storiche di questa crisi sono legate a diversi aspetti, ci spiega Giampaolo Malgeri, docente di Storia dell'integrazione europea all'università Lumsa. La fine della contrapposizione bipolare ha già di per sé favorito un riemergere della destabilizzazione dell'area mediterranea. Venendo però a temi più recenti, è indubbio che tutta una serie di errori di valutazione socio-politici su quelle che poi sono state chiamate 'primavere arabe', hanno progressivamente indebolito le istituzioni dell'area. Il vero problema è stato l'incapacità delle diplomazie occidentali di comprendere fino in fondo le ragioni che hanno determinato la caduta di tutta una serie di regimi nella sponda sud del Mediterraneo. Penso ad Egitto e Libia”. Tuttavia, sottolinea il professore, questi fenomeni “restano un problema che per certi versi prescindono anche da quello che ho detto: siamo di fronte ad una crisi di sistema generale, con fattori che vanno dalla guerra ai cambiatemi climatici e che appare, per certi versi, incontenibile”.

La politica

Secondo i dati dell'Ispi, che vengono citatati da Bertotto di Msf, lo scontro tra ong e i governi che si sono alternati in questi ultimi cinque anni ha raggiunto il suo apice il 9 giugno del 2018, con la vicenda della nave Aquarius di Sos Mediterranée e Medici senza frontiere. Da allora ci sono stati 19 incidenti noti, con 2500 persone bloccate in mare per un tempo complessivo di 5 mesi e mezzo. Non si è trattato solo di navi di ong ma anche navi mercantili e militari. L'effetto di questi blocchi è stato “prolungare la sofferenza di persone già provate” dalle condizioni di vita in Libia e disincentivare le attività di soccorso in mare delle navi commerciali e non. Un realtà slegata dalla presenza delle ong che “sono state in mare per un numero complessivo di 60 giorni. In questo stesso periodo le partenze sono aumentate”. Se da un lato il calo degli sbarchi rappresenta un buon risultato, l'incapacità di gestire i flussi da parte della politica appare sempre più evidente: “Nel distretto di Agrigento – ha spiegato alla commissione Affari costituzionali Luigi Patronaggio, procuratore agrigentino -, nel 2017 abbiamo avuto 231 sbarchi con 11159 immigrati, nel 2018 218 sbarchi e 3900 immigrati; nel primo semestre del 2019 abbiamo soltanto 49 sbarchi e 1084 immigrati. Di questi sbarchi quelli riferibili alle azioni di salvataggio delle navi delle ong sono una porzione assolutamente minore e per quello che riguarda il 2019, addirittura, statisticamente irrilevanti”. Europa e Italia, così come la destra e la sinistra italiana non hanno trovato soluzioni, che invece vengono offerte dal mondo dell'associazionismo. Per Laila Simoncelli, rappresentante della Comunità Papa Giovanni XXIII audita dalla commissione Giustizia, una soluzione innovativa e sostenibile sarebbe “l'allargamento dei corridoi umanitari in maniera stabile e strutturale con l'apertura dei visti umanitari non solo in Italia ma in tutti Paesi dell'Europa. Inoltre, l'introduzione della sponsorship come canale legale, è per l'Italia una revisione profonda della legge Bossi-Fini. All'Europa abbiamo chiesto, invece, che in caso di vite salvate in mare il porto sicuro sia qualunque porto europeo. A prescindere delle aree di soccorso prestabilite. Tutti i porti devono essere sicuri per chi viene salvato dal mare. Centrale per queste politiche è l'adozione del global compact delle Nazioni Unite sulle migrazioni. L'Italia deve mettersi in discussione rispetto a questi criteri di immigrazione sostenibile che non può essere certamente risolta da muri e barriere”.

I costi

Vittima di questa crisi sarà il dialogo interreligioso: “Nonostante l'impegno della Santa Sede di non spezzare quel filo che ci lega alle culture del sud Mediterraneo e che ancora esiste. Certamente sono rapporti sempre più difficili e complicati. Il problema è che l'opinione pubblica sta diventando sempre più oltranzista”, ci spiega Malgeri. Per il senatore De Falco la colpa è della classe politica: “In questi ultimi 4 o 5 anni, da quando viene propagata la paura del diverso, dell'invasione e della sostituzione etnica, da quel momento in poi abbiamo una difficoltà (…) il punto è che siamo attraversati da una politica mistificatoria che da qualche anno compie quasi una falsificazione facendo credere che il migrante è colui che toglie il pane a chi vive in Europa e in Italia”. Il professore della Lumsa sottolinea anche come i colpevoli di questo imbarbarimento siano anche i media e “la narrazione che tende ad accumulare tutto: Islam, immigrazione e questo rende difficilissimo qualunque tipo di dialogo e di confronto”. A contribuire a questo caos nella gestione del mar Mediterraneo è sicuramente la mancanza di informazioni attendibili che arrivano dalla sponda meridionale. Il bombardamento di un centro di detenzione per rifugiati, avvenuto il 3 luglio scorso a Tajoura, in Libia, ha fatto emergere prepotentemente tutte le inefficienze del controllo da parte delle organizzazioni internazionali. “Il mio è un parere non da esperto, perché non ho approfondito quest'aspetto – premette Giampaolo Malgeri, ponendosi tuttavia una domanda -: Quali sono le autorità politiche che danno le autorizzazioni, che offrono la disponibilità a questi controlli? Io di questo non so niente, ma mi appare molto difficile…”.

Il Futuro

Il sociologo e professore della Sapienza di Roma, Francesco Carchedi, non pensa però di trovarsi davanti ad un collasso geopolitico dell'area, ma sottolinea la reversibilità del processo, soprattutto per quello che riguarda l'opinione pubblica italiana: “Le procure stanno mettendo al centro la costituzione e lo statuto della navigazione che per il mare che ha valore costitutivo. Le leggi ordinarie sono sottoposto alle leggi costituzionali. Questo è il punto. I magistrati tengono conto della costituzione, non delle leggi ordinarie. Noi non siamo davanti ad un cambiamento costituzionale. Quindi non siamo di fronte ad un paradigma nuovo Finché c'è questa costituzione e finché ci sta una magistratura indipendente, siamo davanti ad uno disorientamento momentaneo”.

 

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