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La jihad è alle porte e la politica si spacca sull’intervento militare

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“Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur” (“Mentre a Roma si discute su quel che si deve fare, la città di Sagunto viene espugnata”). La celebre frase tratta dalle Storie di Tito Livio sembra tornata drammaticamente d’attualità dopo le minacce dell’Isis all’Italia. Non certo per la coincidenza geografica (Sagunto si trovava in Spagna pur essendo messa sotto assedio da Annibale Barca, generale cartaginese e quindi libico) ma per quell’attitudine al chiacchiericcio sterile che, allora come oggi, contraddistingue la nostra politica anche nei momenti di crisi. Al di là del merito, se sia giusto attaccare o meno, quel che stupisce in queste ore è l’assoluta mancanza di unità tra i partiti in una fase nevralgica della nostra storia recente. Le campane dell’Isis suonano a morte a poche centinaia di miglia dalle coste italiane e i cittadini chiedono di essere rassicurati, finendo, invece, con l’assistere al solito teatrino. Così anche un’emergenza seria diventa motivo di scontri e polemiche col rischio di trovarsi pericolosamente esposti al terrore.

L’unico aspetto su cui in Parlamento ci si trova d’accordo è quello di non ripetere gli errori del 2011. Cioè non agitare ulteriormente un vespaio già sin troppo mosso. Lo ha detto anche Silvio Berlusconi, facendo mea culpa sulla scelta di partecipare ai raid avviati da Francia e Gran Bretagna per rovesciare il regime del colonnello Gheddafi. Una mossa che spiazzò diversi esponenti dell’allora governo di centrodestra che solo poco tempo prima aveva accolto il dittatore libico per ricucire lo strappo del colonialismo d’inizio ‘900 e avviare diversi accordi commerciali. Ma il premier preferì seguire la strada tracciata da Sarkozy e Brown, rimangiandosi l’accordo con Tripoli e mostrando urbi et orbi la debolezza della nostra politica estera. Romano Prodi, intervistato sabato sul Fatto Quotidiano, ha sottolineato il pasticcio di 4 anni fa, e ha rivelato un segreto di Pulcinella, cioè il fatto che dietro le bombe di Parigi e Londra non vi fosse alcuno spirito umanitario ma il semplice perseguimento di interessi economici. Con un’area a lungo repressa e fortemente instabile il rischio di un’avanzata del fondamentalismo era dietro l’angolo e si è puntualmente avverato.

Memore di quei fatti Matteo Renzi, in un colloquio telefonico con il premier libico Al Sisi, ha escluso un intervento militare, di fatto contraddicendo il suo stesso ministro della Difesa, Roberta Pinotti, che nel weekend appena passato aveva ipotizzato una coalizione anti Califfato guidata dall’Italia sotto l’egida Onu. Per il premier, invece, la soluzione può essere solo politica per ora e deve partire dalle Nazioni Unite. Con ciò raffreddando i bollenti spiriti di mezza Forza Italia che, a partire da Gasparri, chiedeva l’uso della forza per respingere l’Isis. Renzi insomma ha ringraziato Berlusconi per il possibile sostegno alla guerra ma, in questo momento, preferisce agire per vie diplomatiche. In ciò seguendo la linea che arriva dritta dritta dalla Casa Bianca, dove Barack Obama ha parlato proprio di “soluzione politica”. Ma mentre in America il sistema consente di far partire navi e aerei in un attimo da noi la discussione rischia di avvitarsi su se stessa, dando tempo agli uomini di Al Baghdadi di organizzarsi.

Puntuale è poi arrivata la stoccata di Grillo al governo, con l’appello a Mattarella affinché fermi il “bulletto di Rignano”. Come se la crisi libica fosse poi cosa da ridere il leader del M5s ha reinterpretato due slogan mussoliniani: “Spezzeremo le reni alla Libia e se attaccherà Lampedusa la fermeremo sul bagnasciuga”. “Decidere se entrare in guerra spetta al capo dello Stato”  ha scritto Grillo sul suo blog citando l’articolo 87 della Costituzione. Sulla stessa linea d’onda Nichi Vendola che si è detto agghiacciato “dall’ascolto di parole insensate di spirito di guerra provenienti da alcuni ministri. Ora Renzi cerca di mettere ordine”. Per il governatore pugliese bisogna “mettere in campo una strategia vera, si ragioni con serietà. Onu e diplomazia internazionale si muovano rapidamente”. Eh già, se la politica litiga a salvarci potrà essere, ancora una volta, solo la comunità internazionale. Basta non fare la fine di Sagunto.

Francesco Volpi: