No del comune di Corleone e dell’Inps all’erogazione del bonus bebè a favore di Lucia Riina, la più piccola dei 4 figli di Totò Riina, il “Capo dei capi” di Cosa Nostra. La donna aveva avanzato istanza all’ente locale (sciolto qualche mese fa per infiltrazioni mafiose e attualmente retto da tre commissari) per ottenere l’assegno una tantum di mille euro dato dalla Regione siciliana, attraverso le amministrazioni locali, a chi mette al mondo un figlio e ha un reddito al limite dell’indigenza.
Rigettata la richiesta, per un vizio formale, l’ha reiterata il marito di Lucia, Vincenzo Bellomo; ma anche lui ha ricevuto un no, dovuto al ritardo con cui era stata presentata l’istanza. Infine, il terzo tentativo (fallito) con l’Inps, che eroga un assegno mensile per i primi tre anni di vita del bambino (per un importo che va da 80 a 160 euro), a quelle famiglie che non superano 25 mila euro del parametro Isee. La figlia trentasettenne di Riina, che dipinge e vende i suoi quadri su Internet, vive a Corleone dal ’93, dove è tornata con la madre Ninetta Bagarella e i fratelli, all’indomani dell’arresto del padre, avvenuto il 15 gennaio di quell’anno.
A Corleone si è sposata nel 2008, accompagnata all’altare dal fratello Giuseppe Salvatore che era appena uscito dal carcere. L’altro fratello, Giovanni Francesco, è in galera e sconta l’ergastolo per alcuni omicidi; Maria Concetta, la più grande, vive in Puglia con il marito. Quattro anni fa, in pieno agosto, un’intervista di Lucia Riina alla televisione della Svizzera francese Rts fece divampare le polemiche. L’ultimogenita del boss, che scelse Ginevra come meta del suo primo viaggio all’estero, si disse “dispiaciuta” per le vittime, ma “onorata e felice” di portare il cognome di suo padre: “Immagino che qualsiasi figlio che ama i genitori non cambia il cognome. Corrisponde alla mia identità, siamo tutti figli di qualcuno e non bisogna restare nel passato ma andare avanti“.
Le famiglie delle vittime di mafia insorsero e da quel momento Lucia tornò nell’ombra, prima di questa bizzarra richiesta, quasi un’ostentazione di normalità che mal si concilia con quanto sosteneva il padre in una conversazione intercettata in carcere: “Se recupero un terzo di quello che ho, sono sempre ricco“.