In questo momento l'Italia è il Paese politicamente più isolato dell'Unione europea”. La vede così Udo Gümpel, dal 1997 corrispondente dall'Italia per la tedesca Ntv e dal 2009 per l'intero gruppo della Tv teutonica Rtl. Due decenni di lavoro che gli cosentono di avere una conoscenza profonda del nostro Paese e delle sue dinamiche politiche ed economiche. A In Terris ha tracciato un quadro della fase storica attraversata dall'Italia uscita dalle urne del 4 marzo 2018 e da quelle delle ultime Europee.
Nei giorni scorsi, Emmanuel Macron si è detto disponibile ad appoggiare una eventuale candidatura di Angela Merkel alla guida della Commissione europea. E' uno scenario realistico?
“E' sicuramente molto stimata in Europa per la sua grande capacità di arrivare a compromessi, aspetto fondamentale a livello comunitario, dove le decisioni a volte vanno prese a maggioranza qualificata, a volte all'unanimità. Sarebbe sicuramente adatta. Penso, però, che quella di Macron sia solo una battuta per rendersi simpatico agli occhi della Merkel. La quale, non dimentichiamolo, non è libera: è la cancelliera della Germania”
Restiamo sulle nomine: quante possibilità ha l'Italia?
“Parlare di 'indebolimento” è un eufemismo. Oggi l'Italia detiene la presidenza della Bce, quella dell'Europarlamento e occupa la casella della Pesc all'interno della Commissione; una posizione praticamente impossibile da mantenere. Avrà un commissario, ma sicuramente sarà di secondo piano”.
Eppure la Lega si dice certa di far valere il 34% ottenuto…
“Il gruppo a cui si è associato il partito di Salvini conta 76 deputati su 751 a Strasburgo, circa il 10% del totale. Ciò significa che il Carroccio nell'Europarlamento vale zero. C'è poi un altro problema che evidentemente i leghisti non vedono o non capiscono…”
Quale?
“Sono convinti di poter imporre un proprio nome. E' vero che le proposte di nomine vengono dai governi nazionali ma non va dimenticato il passaggio in Parlamento, organo eletto da tutti i cittadini europei che deve confermare i commissari con un voto a maggioranza. Quindi la persona indicata dall'Italia dovrà convincere socialisti, democristiani, verdi e liberali a farsi votare. Aggiungo un ulteriore elemento…”
Prego…
“In Europa Salvini ha la fama dell'assenteista. Da parlamentare marcava visita spesso e volentieri e ora, da ministro dell'Interno, ha saltato quasi tutte le riunioni con i suoi omologhi Ue, preferendo mandare il suo sottosegretario. Quindi ricapitoliamo: la Lega fa parte di un gruppo minoritario e considerato estremista dagli altri partiti a Strasburgo e ha un leader con la reputazione del fannullone. La conseguenza è un peso politico pari a quello di una piuma”.
Quali conseguenze per l'Italia?
“E' destinata a perdere gran parte dell'influenza che esercitava nelle istituzioni europee. Non sarà più un peso massimo. Questo, tuttavia, non si tradurrà in conseguenze economiche, visto che le regole riguardanti, ad esempio, l'accesso ai fondi strutturali dipendono dai progetti presentati a livello regionale. Anche se l'Italia, per motivi di lentezza decisionale, spesso non è in grado di presentare progetti nemmeno per fondi già approvati”.
Credi che l'opera di smarcamento dai due vicepremier possa rendere Conte un interlocutore credibile a Bruxelles e Berlino?
“Sta tentando in ogni modo di esserlo ma in tutta Europa è ancora visto come un generale senza truppe. Ha però un suo punto di forza: non è l'unico a criticare la linea di Salvini sullo sforamento dei parametri. Potrebbe cercare sponde nel ministro Tria, che conosce bene i conti, e nel Presidente Mattarella, contrario a uno scontro frontale con l'Ue sul debito”.
Sono questi tre, dunque, i nomi che godono ancora di un certo credito a livello comunitario?
“Sì, Mattarella innanzitutto e in misura minore Conte e Tria. Il problema è che nessuno di loro è azionista di maggioranza del governo. Se, ad esempio, l'attuale premier si dimettesse sarebbe politicamente finito, l'Italia vivrebbe una situazione critica della quale verrebbe incolpato”.
Nel frattempo è arrivato il rapporto della Commissione sul debito che legittima la procedura d'infrazione…
“Premessa: non è una delle tante procedure per deficit, ma la prima volta che un iter del genere viene avviato nei confronti di un Paese Ue e dell'Eurozona per debito insostenibile. E, chiariamolo, non è una questione che riguarda solo i governi passati, i quali hanno creato circa 1/3 del debito attuale anche per far fronte alla grande crisi del 2007. Nel rapporto c'è scritto chiaramente che l'esecutivo Lega-M5s ha disatteso le promesse di politiche di risanamento e di non un ulteriore aumento del debito. Non solo: vengono espressamente citate due misure adottate dall'esecutivo gialloverde: Quota 100 e il Reddito di cittadinanza. Che tra l'altro non hanno stimolato la domanda interna, in forte calo per la prima volta in dieci anni. Altra promessa all'Europa non mantenuta”.
Bruxelles è preoccupata?
“Certo che lo è. Secondo le previsioni della Commissione il debito il prossimo anno raggiungerà il 135% del Pil. Salvini e Di Maio, da parte loro, parlano di flat tax, salario minimo e altre misure di questo tipo, senza pensare a un aumento della tassazione che possa neutralizzare l'incremento dell'Iva. Così al debito attuale, nella peggiore delle ipotesi, rischiano di aggiungersi altri 60 miliardi. Ci sono poi l'idee pazzarelle dei minibot e i progetti di uscita dall'Euro di cui continuano a parlare alcuni esponenti della Lega”.
Ecco, che impatto avrebbe uno scenario del genere su un Paese come la Germania?
“E' un'illusione pensare che un eventuale Italexit, e quindi un default dell'Italia, possa danneggiare gravemente la Germania. Roma è un piccolissimo cliente di Berlino, vale il 5% del suo export. Se l'Italia, poi, non pagasse più il debito contratto con i titoli di Stato emessi si troverebbe contro l'intero mondo finanziario che su quei titoli ha investito. Sarebbe la completa bancarotta”.
Ma una bancarotta non finisce per danneggiare anche chi i soldi li ha prestati?
“Questo ragionamento non vale per i prestiti effettuati all'interno del sistema delle banche centrali europee che verrebbero immediatamente garantiti dalla Bce. A essere danneggiati, quindi, sarebbero solo gli investitori extra Ue che hanno comprato titoli di Stato italiani e, ovviamente, le famiglie italiane che hanno acquistato un titolo in euro e si ritroverebbero con la lira di Borghi. E' uno scenario che in Germania, nello scorso secolo, si è verificato due volte. Da lì nasce la nostra 'fissazione' per il valore nominale reale del denaro”.
Anche Berlino è stata bacchettata dalla Commissione per la solita questione del surplus…
“Il surplus non riguarda il bilancio pubblico ma quello commerciale, cioè prodotto dalle aziende private. E' il risultato della forza dell'industria tedesca, della grande domanda all'estero di prodotti made in Germany. Si tratta di un problema di bilancio complessivo non sanzionabile in base ai trattati”.
Come si può ridurre?
Di certo non nazionalizzando le aziende ma una soluzione dev’esser trovata, è nell’interesse della Germania farlo. Questa situazione mostra che l’industria tedesca è troppo dipendente dall’estero, per il 50% del suo Pil. Una soluzione potrebbe essere quella di far acquistare alle imprese tedesche più merce all'estero, ma non è semplice”.
Perché?
“Dall’Italia, ad esempio, cosa dovrebbe acquistare di più di quanto non fa già ora? Olio d’Oliva, prodotti di alta moda, acciaio, automotive? Le aziende italiane sono già ben presenti e il bilancio commerciale italo-tedesco è sostanzialmente in parità. Un'altra possibile soluzione per abbassare la competitività tedesca potrebbe essere quella di raddoppiare gli stipendi in Germania, che, però, già viaggiano a una media di circa 3.500 euro lordi mensili. Che facciamo allora: li portiamo a 5mila euro come in Svizzera, che resta comunque un grande esportatore?”.
Una soluzione ci dovrà pur essere…
“Credo che la cosa più logica sarebbe aumentare la gamma dei prodotti rivolti alla domanda interna, un discreto cambio del modello industriale: più verso l'interno. In questo modo il surplus commerciale calerebbe, ma è un processo lungo. Non va poi dimenticato un ulteriore aspetto…”
Quale sarebbe?
“Il grande surplus commerciale della Germania si realizza verso i Paesi extra-Unione, e in questo surplus tedesco c’è anche la manina dell’Italia, in quanto primo fornitore industriale della Germania: se rallenta l’export tedesco, regredisce quello italiano. Le nostre due industrie sono molto intersecate, intrecciate, parte della stessa filiera della creazione del valore aggiunto. Oggigiorno non esiste più un'industria 'nazionale', chi lo dice, mente, o è semplicemente un ignorante. L'industria è piuttosto 'europea', e l'Unione Europea è il suo habitat naturale”.