Il consigliere laico Pierantonio Zanettin (Forza Italia) ha chiesto al Consiglio Superiore della Magistratura di aprire un fascicolo sullo scontro tra le procure di Napoli e Roma sull’inchiesta Consip. Lo scopo è “verificare se l’operato di taluno dei titolari dell’inchiesta Consip possa incidere negativamente sull’immagine di imparzialità ed indipendenza del magistrato, determinando una incompatibilità ambientale e/o funzionale”.
La stampa odierna “parla apertamente ormai di duello tra i Pm di Roma e Napoli”, scrive Zanettin, ricordando che mentre la procura capitolina ha accusato di falso ideologico il capitano del Noe Giampaolo Scafato “per aver alterato l’intercettazione contro Tiziano Renzi, padre dell’ex premier, ed aver accreditato la possibilità che i servizi segreti stessero ‘spiando’ l’inchiesta”, quella partenopea “ha ribadito ‘piena fiducia nell’operato del Noe’ e confermato la delega per il filone investigativo che coinvolge Romeo in Campania”.
L’opinione pubblica, ha aggiunto il consigliere, si chiede se Scafato abbia agito per sbadataggine, o perché mosso da ambizione di carriera, o addirittura perché manovrato da qualche burattinaio che è rimasto nell’ombra. E’ certo che queste vicende gettano un’ombra inquietante sul comportamento di apparati dello Stato, in apparente conflitto tra loro“. In un quadro così delicato “per l’equilibrio democratico del Paese, il Csm non può rimanere inerte – ha cocnluso Zanettin – e nei limiti e nel rispetto delle proprie prerogative, deve svolgere gli opportuni accertamenti sull’operato delle Procure della Repubblica coinvolte”.
Sul caso Consip è intervenuto anche il vice presidente del Senato, Roberto Calderoli. “Mi viene da pensare – ha spiegato – ad un vecchio caso che presenta alcune analogie. Lo ricordate il presunto scandalo sulla presunta tangente per l’acquisto di Telekom Serbia avvenuta durante il primo Governo Prodi a fine anni ’90? Un’inchiesta che puntava ad aprire armadi zeppi di scheletri e faceva tremare la sinistra, fino a quando un giorno, nella commissione parlamentare d’inchiesta, fece la sua comparsa il teste che doveva fornire le prove decisive, il sedicente conte Igor Marini, che le sparò così grosse, accusando Prodi, Fassino e Dini in maniera tanto grossolana e imprecisa da far crollare disastrosamente tutto il teorema accusatorio”. Oggi, ha aggiunto, “mi sembra di rivedere lo stesso copione, con gli stessi attori e registi occulti: sullo sfondo i servizi, poi un uomo dei Carabinieri che produce, falsificandola, una prova che prima sembra già sancire una condanna illustre e poi, una volta rivelatasi falsa, scagiona completamente l’illustre sospettato smontando ogni possibile accusa. Così le prove che sembravano doverlo incastrare, rivelandosi poi false, risultano poi decisive nello scagionarlo per sempre“.