Nessun errore nella sentenza, confermata il 13 maggio 2016 dalla Cassazione, emessa in merito all’incendio dello stabilimento torinese della Thyssenkrupp che, nel 2007, costò la vita a 7 operai. Con tale motivazione, la III Sezione penale della Cassazione ha respinto il ricorso presentato da Harald Espenhahn, amministratore delegato della Thyssen, assieme ai dirigenti Gerald Priegnitz, Marco Pucci e Daniele Moroni, tutti condannati dai giudici al termine del processo, ormai più di un anno fa. Le pene erano state, rispettivamente, di 9 anni e 8 mesi (Espenhahn), 6 anni e 10 mesi (Pucci e Priegnitz) e 7 anni e 6 mesi (Moroni). Secondo le ordinanze depositate oggi dai giudici, “è del tutto assente l’errore di fatto attribuito al giudice di legittimità”, il quale ha invece “diffusamente argomentato” sulla “rideterminazione della pena”.
L’incidente alla Thyssen
Tale pena, era stata ritenuta “conforme a legge e adeguatamente giustificata, tenendo anche ben presente i contenuti dell’imputazione, le singole posizioni degli imputati e le condotte loro attribuite, nonché i contenuti della decisione delle sezioni unite”. Il 13 maggio del 2016, la Cassazione aveva confermato le condanne nei confronti dei sei imputati per il rogo alla Thyssen, avvenuto fra il 5 e il 6 dicembre 2007. Un gruppo di 8 operai, quella notte, fu investito da una fiammata di olio bollente: 7 di loro morirono nel giro di un mese per le gravi ferite riportate. Dopo l’incidente, gravissime critiche vennero rivolte all’azienda sia per il mancato corretto funzionamento degli impianti di sicurezza che per le 4 ore di straordinario alle quali i lavoratori erano stati sottoposti (erano al lavoro da 12 ore complessive).
Le motivazioni
In riferimento all’episodio, analizzando le richieste di ricorso, la Suprema Corte ha spiegato che quella dell’ex ad e degli altri dirigenti coinvolti è “una colpa imponente, per la consapevolezza che gli imputati avevano maturato del tragico evento prima che poi ebbe a realizzarsi, sia per la pluralità e per la reiterazione dellecondotte antidoverose riferite a ciascuno di essi che, sinergicamente, avevano confluito nel determinare all’interno dello stabilimento una situazione di attuale e latente pericolo per la vita e per la integrità fisica dei lavoratori”. Una colpa grave, secondo i giudici, anche per “l’imponente serie di inosservanze a specifiche disposizioni infortunistiche di carattere primario e secondario, non ultima la disposizione del piano di sicurezza che impegnava gli stessi lavoratori in prima battuta a fronteggiare gli inneschi di incendio, dotati di mezzi di spegnimento a breve gittata, ritenuti inadeguati e a evitare di rivolgersi a presidi esterni di pubblico intervento”.