Potremmo ribattezzarla la democrazia dei trolley. Perché avere la consapevolezza del fatto che il nostro è un parlamento a orario, non di cottimisti, categoria alta e nobile ma di vere gettoniere, non è rassicurante. Vederli partire il giovedì, deputati e senatori, per rivederli tornare il lunedi pomeriggio, anche quando servirebbero sedute fiume, toglie un po’ di senso alla rappresentazione della democrazia rappresentativa. Il loro darsi da fare per eleggere i presidenti di Camera e Senato, il loro affaccendarsi nel trovare la quadra sui vice e sui questori dà la sensazione di quale sia il peso specifico di deputati e senatori, preoccupati solo dei loro giochi di potere. Il danno provocato dal mancato cambio della costituzione con la riforma del Senato, in questi frangenti, appare evidente in tutta la sua drammaticità. Troppi eletti per fare troppo poco. Tanto a decidere sono solo una ristretta pattuglia di big.
Soprattutto ora che la fase è quella delle consultazioni (si comincia domani mattina con i presidenti delle Camere e si conclude giovdì pomeriggio con i 5 Stelle), passaggio dal quale dipende la nascita del governo. E se nessuno discute il ruolo del Quirinale, mai come ora faro della democrazia e perno stabile del dettato costituzionale, ciò su cui aleggiano dubbi è sul come i nuovi leader stanno interpretando il loro ruolo. Salvini e Di Maio saliranno al Colle con le idee chiare oppure porteranno con sé solo vaghe stelle dell’orsa sulle quali volteggia l’ombra di Silvio Berlusconi? E lo stesso cavaliere ha, o avrà uno schema da seguire, in modo da offrirlo a Mattarella? Molti dubbi, poche certezze. Molti dubbi alimentati dai contatti intercorsi fra gli emissari dei due schieramenti in campo nel corso delle festività pasquali dove le armi non sono state deposte ma affilate nella convinzione che lo scontro arriverà. E non sarà facile per nessuno. Anche nel caso in cui dovessimo ritrovarci con un governo eterogeneo composto da grillini e leghisti con il sostegno del resto del centro destra.
Appare difficile un asse fra 5 stelle e Pd. Sinché Renzi potrà determinare il gioco da giocare, le carte in tavola saranno coperte. Dato lo schema, toccherà a Mattarella trovare la quadra. E non sarà affatto facile, soprattutto se non emergerà una chiara convergenza su un nome terzo da parte degli attori protagonisti. Il premier di sintesi insomma è l’unica soluzione possibile. Il nome più gettonato sembra essere quello di Cottarelli, ben visto da Lega e 5 Stelle e non sgradito da Berlusconi. Al Pd potrebbe anche andar giù ma visto che l’opposizione piace a Renzi, ma non a Franceschini, lo schema potrebbe anche funzionare. Cottarelli, del resto, porta in dote anche la benevolenza dell’Unione Europea e questo è estremamente utile nel momento in cui Palazzo Chigi dovesse metter mano a pensioni, tasse e redditi vari, declinati in salsa grillina.
Chi sarà a fare il suo nome Colle? Seguendo le traiettorie ardite dei pentastellati non possono essere che loro. Del resto le consultazioni al Quirinale servono proprio a questo, a mettere ordine in quello che sembra un apparente disordine. Dal canto suo il capo dello Stato mira a dare stabilità al Paese, volendo rassicurare i mercati e le altre cancellerie del vecchio continente. Perché se da questo giro di valzer non dovesse uscire un quadro chiaro ma solo un’immagine seppiata dai contorni sfrangiati il ritorno alle urne appare l’unica strada. Magari dopo aver cambiato la legge elettorale. E per farlo basta un governo del presidente, vero convitato di pietra dell’intero ragionamento. Alla faccia della democrazia dei trolley e della rincorsa al vitalizio. Pardon, pensione…