Campi addio, l’agricoltura non è più un punto di forza dell’Italia. I dati sul pil diffusi dall’Istat non lasciano dubbi, nell’ultimo trimestre del 2014 il settore ha perso in termini di valore aggiunto il 4,4% rispetto ai tre mesi precedenti e il 6,9% su base annua. Dati figli della crisi ma anche di un trend inaugurato tra gli anni 60 e 70, quelli dell’industrializzazione del Paese. Si dirà: è stata una scelta dettata dai tempi. Tutto giusto, il problema è che se l’agraria arretra, fabbriche e affini ancora non decollano. L’uscita di scena di due giganti come Fiat e Indesit confermano che le grandi aziende da queste parti non hanno terreno fertile e preferiscono di gran lunga andare a cercare fortuna da altre parti. Si dirà: sono le piccole e medie imprese la vera locomotrice dello Stivale.
Peccato che siano proprio le Pmi ad aver subito, più di altri, l’impatto della depressione finanziaria iniziata nel 2007 e arrivata da noi l’anno successivo. Queste realtà soffrono soprattutto un sistema fiscale asfissiante, tra tasse, balzelli, gabelle e chi più ne ha più ne metta. Senza contare il costo del lavoro, che serve ma bisogna sempre più spesso rinunciarvi. Così la voce più corposa del nostro sistema produttivo subisce un duro colpo. I numeri, che non mentono mai, sono lì a dimostrarlo, variazione nulla nel prodotto interno lordo nel quarto trimestre 2014, con conseguente diminuzione dello 0,5% dell’indicatore principe della nostra economia. Fra l’altro la stima preliminare diffusa il 13 febbraio 2015 scorso aveva rilevato la stessa variazione congiunturale e una diminuzione tendenziale dello 0,3%.
L’altra grande risorsa a disposizione sarebbe il turismo. Siamo la nazione mondiale che vanta il maggior numero di patrimoni dell’umanità secondo l’Unesco. Pensiamo solo ai tesori di Roma, Firenze, Venezia e Napoli per citare alcune delle città più belle. Da sola questa voce vale il 10% del Pil e impiega 10 milioni di lavoratori. Ma le modalità di gestione sono antiquate, il degrado avanza e la tecnologia è usata solo marginalmente per la valorizzazione dell’arte. Così il Bel Paese scivola al decimo posto della classifica delle mete turistiche più visitate al mondo, addirittura dietro la Cina. Ma se l’agricoltura va male, le grandi industrie fuggono, pmi soffrono e le bellezze non vengono sfruttate come dovrebbero cosa resta? Solo un economia ferma al palo.