Un giorno solenne di raccoglimento”, lo ha definito il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Perché per quanto piccolo sia, il paese di Sant'Anna di Stazzema custodisce una delle ferite più grandi della storia del nostro Paese, una pagina di sangue che affonda le sue radici al periodo nazifascista della Seconda Guerra mondiale, quando la follia dell'uomo seppe concepire una delle stragi più cruente fra quelle perpetrate ai danni della popolazione civile. Cinquecentosessanta persone inermi assassinate, fra queste 130 erano bambini: un massacro deliberato, violento, insensato che segnò indelebilmente quella che, di lì in avanti, sarebbe stata la storia dell'Italia: “Non dovrà mai essere dimenticato quanto è accaduto – ha ricordato il Capo dello Stato – perché chi dimentica è più debole, più esposto ai pericoli che intolleranza, ostilità, violenza ripropongono”. A Sant'Anna, quei 560 sono solo i morti accertati: quanti siano stati davvero nessuno lo saprà mai. L'unica cosa certa è che quel giorno si capì realmente quanto l'odio scellerato potesse far del male. Una furia cieca che non risparmiò nessuno, che spezzò la quiete della collina e dei vicoli con urla strazianti e ritmati colpi d'arma da fuoco.
Il massacro
Si credeva al sicuro Sant'Anna, perché “zona bianca” e perché, a ben vedere, in quei mesi le azioni della resistenza partigiana erano state contenute. Nel paese toscano si accoglievano i rifugiati, si prestavano cure, cercando di far scivolare le giornate allontanando il più possibile lo spettro dell'occupazione. Cambiò tutto alle prime luci del 12 agosto 1944, quando qualcuno gridò a tutti che i nazifascisti avevano iniziato la salita verso il centro abitato. Bastò poco: tre squadroni di SS, quelli del Battaglione Galler, raggiunsero rapidamente il paese, un altro chiuse la restante via d'uscita. In poche ore non c'era più scampo. Da quel momento in poi, l'azione dei nazifascisti assunse i tratti dell'orrore: rastrellamenti di massa, gente rinchiusa nelle cucine delle case o nei pressi della chiesa del paese e massacrata a colpi di mitra, incendi a ripetizione, case divorate dalle fiamme. Qualcuno si salvò miracolosamente, altri sopravvissero alle raffiche di proiettili per spirare poco dopo (come la piccola Anna, di appena 20 giorni di vita, la più giovane fra le vittime del massacro). Poche ore bastarono a trasformare il tranquillo borgo di Sant'Anna nell'ennesimo inferno di una guerra senza fine.
Un ricordo vivo
Settantacinque anni dopo, il ricordo resta e il dolore anche. Perché Sant'Anna vive ma quella ferita resterà per sempre: fra quei viali la vita pacifica di un paese di collina fu strappata via dalla più inaudita violenza, con una brutalità tale da lasciare una cicatrice che, ancora oggi, resta ben visibile sul volto del nostro Paese: “Sono esemplari la tenacia e la forza morale con cui la comunità di Sant'Anna – ha concluso Mattarella – ha saputo tenere vivo il ricordo, trasmetterlo ai più giovani, trasformare quella ferita profonda in un impegno di ricostruzione, di convivenza, di sviluppo democratico. E' questo lo spirito che ha animato l'Italia della Liberazione, della Costituzione, dell'affermazione dei diritti inviolabili. E' lo spirito dei fondatori dell'unità europea”.