Pietro Grasso esclude l’ipotesi di poter guidare un governo di scopo in caso di dimissioni di Matteo Renzi dopo un eventuale vittoria del No al referendum. “Ci sono tre cose nella vita in cui non credo e sono gli oroscopi, i sondaggi e le previsioni che spesso fanno a finire nella fantapolitica piuttosto che nella realtà – ha detto il presidente del Senato a margine di un convegno sui giovani e la legalità ad Ancona – io mi concentro su quello che devo fare e cerco di farlo al meglio“.
Finora, da Angelino Alfano a Pier Luigi Bersani, gli esponenti della maggioranza che prendono posizione in chiaro hanno chiesto che Renzi resti anche in caso di sconfitta. Ma nessuno dubita che il presidente del Consiglio salirebbe al Quirinale a rassegnare le dimissioni. E potrebbe rinviarne la formalizzazione – spiegano i renziani – solo di un paio di settimane, il tempo necessario per varare la manovra e non lasciare l’Italia “scoperta”. Dopo quel momento, però, si aprirebbe una partita tutta nuova innanzitutto nel Pd.
Qualche renziano si spinge a ipotizzare che il premier in caso di sconfitta premerebbe per modifiche lampo all’Italicum ed elezioni anticipate. Ma nella maggioranza Pd c’è chi sostiene che potrebbe essere disposto ad accettare un governo a termine, per il tempo necessario ad approvare le modifiche alla legge elettorale e arrivare al voto (magari in primavera). Aggiungono che è improbabile che Renzi accetti di restare a guidarlo, ma la scelta potrebbe cadere su un ministro a lui vicino come Paolo Gentiloni o Carlo Calenda, ma anche Pier Carlo Padoan.
L’eventuale vittoria del No rischierebbe però di cambiare gli equilibri interni al Pd: tra gli 87 senatori di maggioranza Dem, infatti, nessuno dimentica che solo 13 sono renziani della prima ora, una quindicina sono i Giovani turchi ma un peso preponderante hanno i “franceschiniani“, che furono già decisivi nel passaggio da Letta a Renzi. E poiché al Senato bastano pochi voti a fare la differenza, sarebbero decisivi anche i 20 bersaniani e gli alfaniani-verdiniani nel decidere le sorti della legislatura. Chi ragiona in questa chiave, osserva che dunque la partita non sarebbe solo in mano a Renzi.