E'incerto il futuro dell’ex Ilva di Taranto. Con un accordo tra le forze di maggioranza, lo “scudo penale”, originariamente garantito ad ArcelorMittal, che lo ritene fondamentale per proseguire l’attività, è stato cancellato con un emendamento dal decreto salva imprese, ora all’esame del Senato, dopo che era stato abolito dal Governo Conte-1 e reinserito poi in uno degli ultimi provvedimenti dell’esecutivo giallo-verde, anche se con vincoli precisi al rispetto del Piano ambientale. Le commissioni Industria e Lavoro del Senato hanno approvato un ordine del giorno con cui il Governo si impegna a garantire la permanenza dell’attività produttiva, una progressiva decarbonizzazione dell’impianto (con lo stop alla produzione a caldo) e la salvaguardia dei posti di lavoro.
Il nodo decarbonizzazione
“La decarbonizzazione per lo stabilimento di Taranto non è praticabile sia per le caratteristiche del processo produttivo che è a ciclo integrale, sia per l’imponente quantità di acciaio da produrre”, denuncia Rocco Palombella, Segretario generale Uilm, su Ilsussidiario.net. “Inoltre – spiega – non è percorribile perché il Governo, l’Unione europea, la Commissione Antitrust hanno stipulato un contratto di fitto della durata di tre anni con la possibilità di opzione da parte di ArcelorMittal dove i pilastri del contratto sono il Piano ambientale approvato con una legge dello Stato italiano nel settembre 2017 e quello industriale realizzato sulla base del Piano ambientale stesso. Per poter avviare un processo di produzione diverso da quello attuale bisogna annullare l’attuale contratto, farne un altro e seguire tutto l’iter previsto dalle leggi nazionali ed europee. Nel frattempo – conclude Palombella – l’Ilva sarà morta e sepolta”.
L'appello del vescovo di Taranto
“La prospettiva di licenziare 5mila persone, più del 50% dei lavoratori dell’Ilva, creerebbe un disagio sociale di enormi proporzioni. La politica deve intervenire perché la proposta della decarbonizzazione è giusta e positiva, però deve essere seguita da provvedimenti adeguati che non permettano la riduzione dei posti di lavoro”. Lo dice al Sir l’arcivescovo di Taranto, mons. Filippo Santoro, alla luce della possibilità che l’azienda dichiari dai 4 ai 5mila esuberi in seguito allo stop alla produzione a caldo e all’abolizione dello scudo penale che era legato all’esecuzione del Piano ambientale fino all’agosto 2023 e concesso lo scorso agosto ad ArcelorMittal con il decreto “salva imprese“. “Sono contrario al licenziamento delle persone per il disagio sociale che ciò crea – ribadisce il presule -. È necessaria un’attenzione simultanea ai due problemi: da una parte, alle questione occupazionale; dall’altra, a quella ambientale con la chiusura dell’area a caldo. Quest’ultima è una proposta compatibile con l’ambiente, ma deve essere valutata simultaneamente al discorso dell’occupazione”.