Non ci sono piĆ¹”. ĆĀ la frase, passata di bocca in boccaĀ il 28 giugnoĀ scorso, quandoĀ le pile 10 e 11 del Ponte Morandi, rimaste in piedi a testimonianzaĀ delĀ maledetto crollo del 14Ā agosto, sono state fatte esplodere. “Non ci sono piĆ¹” ĆØ,Ā perĆ², ancheĀ un gridoĀ piĆ¹ profondo,Ā quello dei familiari delle 43 vittime della tragedia di Genova: uomini, donne e bambini legati indissolubilmente al viadotto appena demolito da una sottile linea fatta di morte, assenza e disperazione. Per tutti loro, il volto di chi pregustava un'estate di riposo, il sorriso gravido di aspettativa dei bambini, l'ordinaria quotidianitĆ di chi lavorava, sono statiĀ cancellatiĀ in un cumulo di polveri e macerie. “Non ci sono piĆ¹”Ā ĆØ l'amara constatazione che la strada non ĆØ sempre la metafora di un viaggio, ma puĆ²Ā diventare l'incubo delle nottiĀ di mezza estate, quelle che dovrebbero essere alcova diĀ ogni spensieratezza. Con un coraggio oltre l'umano, Egle Possetti ha voluto raccogliere le urla di tutti loro. Un anno fa, haĀ perso la sorellaĀ Claudia, suoĀ marito Andrea Vittone, i figli Manuele e Camilla Bellasio, rispettivamente diĀ 16 e 12 anni. La loro perdita ĆØ unaĀ cesura dilaniante.Ā Egle sa di non poterlaĀ colmare, per questo ha fondatoĀ il Comitato Familiari delle Vittime del Ponte Morandi: “Ci siamo uniti per condividere la nostra esperienza, il nostro dramma” ha detto. Oggi sul letto del torrente Polcevera campeggia laĀ pila 9Ā del nuovo ponte progettato dall'architetto genovese Renzo Piano. Eppure, la rinascita che Egle prospetta in cuor suo, lei una fra le tante “vittime collaterali” della tragedia del Ponte Morandi, ĆØ che drammi del genere non accadano piĆ¹.
Signora Possetti, le andrebbe di raccontare come ha vissuto quei tragici momenti?
“Io e la mia famigliaĀ sapevamo che mia sorella, insieme a suo marito e ai figli, sarebbe andata a Riva Trigoso, un comune vicino a Sestri Levante. In quelle oreĀ ioĀ stavo lavorando, poi sono tornataĀ a casa dai miei eĀ ho visto che nel gruppo di WhatsApp condivisoĀ tra noi sorelle, l'altra mia sorella aveva scritto 'Ć caduto un ponte,Ā dove siete?'. Ma loro non rispondevano, alloraĀ abbiamo iniziato tutti a chiamarli sui telefoni. I cellulariĀ di mia sorella e mio cognato suonavano, ma non rispondevano, mentre il telefono dei due ragazzi era muto. Quando abbiamo constatato che, su quattro telefoni, nessuno rispondeva, ci siamo preoccupati e abbiamo avuto subito un bruttissimoĀ presentimento. Abbiamo, allora, contattato i Carabinieri, la Polizia, tutti i numeri dell'emergenza. Nel frattempo, guardavamo le immagini del crollo alla televisione. Abbiamo attesoĀ cheĀ un nostro amico di Genova, che si ĆØ recato sul posto, ci desse notizia eĀ ha fatto percepire la gravitĆ della situazione, sebbene non abbia detto nulla”.
Siete, cosƬ, partiti?
“Dopo la telefonata del nostro amico, io, mia sorella e la sorella di mio cognato abbiamo preso un treno per Genova. Non eravamo in grado di guidare.Ā Una volta raggiunto il posto, ci ha raggiunti anche il papĆ dei bambini, che si trovava in Sardegna e ha preso il primo aereo disponibile. LƬ il presentimento prendeva forma: sa, mia sorella era molto precisa a rispondere ai messaggi. Quel silenzio era eloquente. A un certo punto, alla sorella di mio cognato, che provavaĀ a chiamare su uno dei telefoni, ĆØ parso di sentire un soccorittore rispondere”.
Sono stati momenti difficili…
“SƬ, sono stati momenti tragici. Come le dicevo, giĆ dall'inizio non ce la sentivamo di raggiungere Genova in auto. Persino il nostro amico s'era proposto di venire a prenderci da Genova, ma pensammo non fosse il caso, con il traffico e la congestione a causa del crollo. Abbiamo pianto durante tutto il viaggio”.
Che cosa prova a distanza di un anno?
“Ć una ferita che non siĀ potrĆ maiĀ rimarginare: siamo una famiglia molto legata, tra noi sorelle eravamo unite,Ā per cui questa ĆØ una cosa che ti distrugge la vita. Ma bisogna farsi aiutare e cercare di superare il momentoĀ per le nostre rispettiveĀ famiglie. Noi lo dobbiamo fare perĀ nostri genitori, che sono anziani e hanno bisogno del nostro supporto. Io e mia sorella dobbiamo cercare di andare avanti. Ma questa ĆØ unaĀ tragedia che non augurerei mai a nessuno”.
Si sente cambiata da quel giorno?
“L'incidente del ponte MorandiĀ mi ha cambiata tantissimo. Le dico solo che io e mia sorella avevamo un carattere speculare: io sempre impulsiva, lei al contrario con un carattere docile eĀ paziente. Oggi,Ā credo che un po' della sua calma, un po' di lei,Ā sia in me”.
Ha mai pensato ai responsabili?
“Posso solo dire che chi ĆØ responsabile – e su questo il verdetto lo darĆ la magistratura –Ā debba pagare. MaĀ nonĀ so come possaĀ fareĀ a dormire la notte”.
Alla luce degli eventi, serba un rapporto con Dio?
“ĆĀ per me una domanda a cui non saprei rispondere. La fede ĆØ una cosa che non posso accettare, tanto quanto questa tragedia. Sono sempre stata credente, cattolica e battezzata, ma le confesso che quest'evento mi ha molto scossa. Mi ĆØ stato detto che chi muore ha finito il suo compito sulla Terra. Ma come si puĆ² pensare che un ragazzo di sedici anni, come mio nipote, abbia finito il suo compito qui? Come si puĆ² affermare questo per un giovane che ha tutta la vita davanti? Mi auguro che, qualora vi sia un altro mondo, essi stiano bene: posso solo dire che tutto questo, da un punto di vista umano, ĆØ impossibile da accettare”.
Cosa le ha insegnato questa esperienza?
“Se posso ravvisare un aspetto 'positivo' di tutto ciĆ² ĆØ stato l'aver conosciuto altriĀ parenti, con i quali abbiamo condiviso il dolore e le medesime sensazioni. Con alcuni di loroĀ ĆØ nato unĀ legame molto forte, di grande affetto. Direi amicizie profonde e importanti”.
Lei ĆØ, infatti,Ā Presidente del Comitato Familiari delle Vittime del Ponte Morandi. Quando ha partorito l'idea di unire le forze?
“In me l'idea ĆØ nata subito. In passato, mi ĆØ capitato di venire a conoscenzaĀ di situazioni in cui i processi vanno avanti per anni e io ho pensato che dovesse esserci una struttura che ci permettesse di unireĀ le forze. Alla mia idea hanno subito risposto i parenti piĆ¹ prossimi, poi hanno aderito gli altri. Lo scopo che ci proponiamo ĆØ quello di non permettere che siĀ dimentichi”.
Avete sperimentato vicinanza?
“La cittadinanza di Genova ci ĆØ stata molto vicina, con persone comuni che ci hanno cercato, che volevano darci anche soloĀ un abbraccio. Sulle istituzioni, abbiamo ricevuto unĀ grande supporto dal Comune di Genova, cosƬ come dalla Regione. Le isituzioni nazionali, al contrario, ci sono state poco vicine. Non ci hanno mai interpellati nĆ© sentiti. Per questo, come Comitato, abbiamo chiesto un incontro al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, per potergli manifestare questo nostroĀ stato d'animoĀ ed esporre la nostra richiesta suĀ una maggioreĀ attenzioneĀ da parte delle istituzioni anche in futuro, qualora dovessero accadere tragedie simili alla nostra. Penso che debbaĀ esserci una 'macchina statale' cheĀ dia supporto e aiuto a chi si trova coinvolto in queste situazioni, sia esso un protocollo di immediato soccorso che un ausilio psicologico”.
Ā A che punto ĆØ l'iter processualeĀ per stabilire le cause e le responsabilitĆ Ā della tragedia?
“Sono in corso due incidenti probatori che stabiliranno le cause eĀ definiranno gliĀ imputatiĀ avviando, cosƬ,Ā il processo. S'ipotizza un inizio del processo nelĀ 2020: prospettiamo un iter lungo, ma abbiamo fiducia nella magistratura, che sta lavorando alacremente”.