Il 18 gennaio 2017, poco prima delle 17, una valanga di neve e detriti si staccò dal monte Siella e travolse l'hotel Rigopiano. Il restort che in quel momento ospitava 40 persone (28 ospiti, di cui quattro bambini, e 12 dipendenti), venne investito da una massa di neve e chiaccio del peso di 120 mila tonnellate.
L'emergenza freddo e il terremoto
Nei giorni antecedenti la tragedia, la zona era stata interessata da una nevicata straordinaria che aveva reso la provinciale che va dall'hotel al bivio Mirri impercorribile. Inoltre, la mattina del 18 gennaio si verificarono anche quattro scosse di terremoto, di magnitudo 5.1, con epicentro nell'aquilano. Gli ospiti, comprensibilmente spaventati, volevano lasciare il resort. Poche ore prima l'amministratore dell'hotel di Farindola aveva inviato una mail alle autorità per avvisare che la situazione era preoccupante; anche Gabriele d'Angelo, cameriere dell'hotel deceduto nel disastro, fece delle telefonate per chiedere l'evacuazione del resort. Richieste che però rimasero inascoltate, con 40 persone bloccate all'interno di un hotel, in attesa di uno spazzaneve che non sarebbe mai arrivato. Poco prima delle 17, il blocco di neve e ghiaccio si staccò dalla montagna alle spalle del resort, realizzato a 1.200 metri sul versante pescarese del Gran Sasso. L'hotel fu travolto completamente e spostato a valle di circa dieci metri.
Il ritardo nei soccorsi
L'allrme fu dato, quasi in contemporanea alla tragedia, dal cuoco Giampiero Parete che, dal parcheggio, vide la valanga abbattersi sull'hotel. Parete riuscì ad avvisare il suo datore di lavoro, Quintino Marcella che telefonò ai soccorsi, ma per troppo tempo nessuno credette alle sue parole. La colonna dei soccorsi partì quasi quattro ore dopo che la valanga si era abbattuta sul resort e, sia per la gran quantità di neve, sia per la rottura di alcuni macchinari durante il tragitto, arrivò sul posto quando già albeggiava il nuovo giorno. Iniziò la corsa contro il tempo: i primi sopravvissuti vennero trovati solo dopo 30 ore, mentre ci vollero 62 ore per estrarre vivo l'ultimo degli 11 superstiti della tragedia.
La chiusura delle indagini
La Procura di Pescara ha chiuso l'inchiesta su Rigopiano lo scorso 26 novembre. Gli indagati sono 25 e sono accusati, a vario titolo, di disastro colposo, lesioni plurime colpose, omicidio plurimo colposo, falso ideologico, abuso edilizio, omissione di atti d'ufficio, abuso di atti d'ufficio. L'inchiesta del procuratore capo Massimiliano Serpi e del sostituto Andrea Papalia chiama in causa Regione Abruzzo, Prefettura, Provincia di Pescara, Comune di Farindola. Tra gli indagati figurano infatti l'ex prefetto di Pescara Francesco Provolo, il sindaco di Farindola Ilario Lacchetta, l'ex presidente della Provincia di Pescara Antonio Di Marco e alcuni dirigenti della Regione.
L'inchiesta bis
Inoltre, la Procura ha aperto un'inchiesta bis su Rigopiano ipotizzando i reati di frode in processo penale e depistaggio a carico di sette persone, che all'epoca dei fatti lavoravano in Prefettura. Tra loro ci sono anche l'ex prefetto Provolo e Daniela Acquaviva, la funzionaria salita alla ribalta delle cronache perché nella telefonata del ristoratore Quintino Marcella – che per primo la sera della tragedia lanciò l'allarme – disse la frase “la madre degli imbecilli è sempre incinta”. L'accusa alla base di questa seconda inchiesta è quella di aver occultato il brogliaccio delle segnalazioni del 18 gennaio 2017 alla squadra Mobile di Pescara per nascondere la chiamata di soccorso fatta alle 11.38 dal cameriere Gabriele D'Angelo, una delle 29 vittime, al Centro coordinamento soccorsi.