“L’impatto del quantitative easing per l’Italia potrebbe essere di un punto di Pil all’anno”. Parola del presidente della Bce, Mario Draghi, intervenuto oggi alla Camera. “La congiuntura economica è più favorevole che negli ultimi mesi – ha spiegato – . Tra i principali motivi ci sono gli effetti positivi del crollo dei prezzi dei prodotto energetici, la politica monetaria espansiva e le riforme strutturali varante in diversi paesi dell’area che cominciano a fare sentire i propri effetti”. Ma, secondo l’ex governatore di Bankitalia, i miracoli non esistono e dunque, perché le politiche economiche che arrivano da Francoforte possano produrre effetti, bisogna proseguire sulla strada di riforme strutturali. Una su tutte: quella della giustizia: “Quella civile italiana è la più lenta in Europa – ha osservato Draghi -. Dimezzando la lunghezza dei procedimenti gli studi indicano un possibile aumento della produttività dall’8 al 12%”. Allo stesso modo, “la Bce è molto favorevole al piano Juncker, che aiuta a rilanciare la domanda aggregata. Ma per funzionare deve partire presto, e venire accompagnato dalle riforme”.
Un’altra delle quali dovrebbe essere la riduzione dei debiti pubblici, perché i debiti pubblici “sono strettamente legati al tema delle banche, e molto è stato fatto per indebolire il legame tra banche e Stato, ma si può dire che i Paesi con basso debito pubblico tendono ad avere banche più forti e un sistema creditizio migliore”. Poi Draghi ha lanciato una serie di avvertimenti che sembrano rivolti da una parte alla Grecia, dall’altra anche a una parte di politica italiana fortemente critica verso l’Euro. Bisogna aiutare i Paesi in difficoltà, perché “il default di uno stato coinvolgerebbe tutti gli altri, un basso potenziale di crescita si riverbera su tutti i Paesi dell’Unione”. Ma è necessario anche non “rinchiudersi nei confini nazionali non risolverebbe comunque i problemi e la disoccupazione aumenterebbe”.
E ai no-euro italiani Draghi ha fornito soltanto un dato. “Lo spread di 500 punti base pagato dall’Italia rispetto ai Bund tedeschi nei momenti peggiori della crisi del 2011 e 2012 era esattamente quello che gli italiani hanno pagato per 15 anni in media prima dell’introduzione dell’euro. Credo sia un elemento utile per chi volesse fare paragoni con la moneta unica”.