Il Jobs act passa le forche caudine della direzione Pd. Ma il partito si spacca: i si’ sono 120, i no 20, 11 gli astenuti. Non riesce dunque a convincere la minoranza democrat la mediazione che, senza “cedere a compromessi” Renzi mette sul dialogo. “Vi propongo di votare con chiarezza al termine della direzione un documento che segni il cammino del Pd sui temi del lavoro e ci consenta di superare alcuni tabù che ci hanno caratterizzato in questi anni”, ha cominciato così il premier il suo discorso, aprendo i lavori della direzione e proponendo una “profonda riorganizzazione del mercato del lavoro e anche del sistema del welfare”. Sulle divisioni nel Pd sul Jobs act, Renzi ha spiegato che “è vero che chi non la pensa come la segreteria non è uno dei Flintstones, come dice Cuperlo, ma è anche vero che chi la pensa come la segreteria non è come Margareth Thatcher”.
“Il rispetto del diritto costituzionale non è nell’avere o no l’art. 18, ma nell’avere lavoro – ha sottolineato il premier – Se fosse questo articolo il riferimento costituzionale allora perché per 44 anni c’è stata differenza tra aziende con 15 dipendenti o di più? L’attuale sistema del reintegro va superato, certo lasciandolo per discriminatorio e disciplinare”. Ha poi affermato di essere pronto a riaprire la Sala Verde a Palazzo Chigi dalla prossima settimana con Cgil, Cisl e Uil.
Duro poi l’intervento di Massim D’Alema: “Penso con sincero apprezzamento per l’oratoria che è un impianto di governo destinato a produrre scarsissimi effetti e questo comincia ad essere percepito nella parte più qualificata dell’opinione pubblica. Meno slogan, meno spot e un’azione di governo più riflettuta credo possa essere la via per ottenere maggiori risultati”. Fa poi i conti in tasca all’esecutivo: “Abbiamo sentito parlare di tabù di 44 anni ed invece la norma è stata riformata due anni fa e in un paese ben regolato cambiare la normativa ogni due anni non è un cosa saggia – ha continuato D’Alema esponendo il pensiero della minoranza del Pd – La legge Fornero prevedeva un monitoraggio degli effetti che ad ora non è stato compiuto e che sarebbe una premessa indispensabile anche perché l’art.18 non esiste più ma esiste una tutela residuale esclusiva a casi di gravissima illegittimità”.
Oltre a Matteo Renzi, erano presenti tra gli altri Pier Luigi Bersani, il ministro del Lavoro Giuliano Poletti, il ministro delle Riforme, Maria Elena Boschi, il ministro della Pubblica amministrazione Marianna Madia e il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Graziano Delrio.