Esattamente due anni fa si registravano in Egitto le ultime tracce del ricercatore italiano Giulio Regeni. Qualche giorno dopo, il 3 febbraio, il suo corpo privo di vita, sfigurato dalle torture subite, veniva ritrovato sul ciglio della superstrada che collega Il Cairo ad Alessandria.
Insieme al cadavere, tuttavia, non sono emersi elementi utili a ricostruire né la dinamica della sua morte né tantomeno gli autori dell’omicidio. La coltre di misteri sulla vicenda si è frapposta a lungo tra l’Italia e l’Egitto, facendo scaturire una crisi diplomatica culminata con il ritiro dell’ambasciatore italiano al Cairo.
Oggi i rapporti tra i due Stati sembrano essersi nuovamente distesi. E mentre si attende che dalle indagini del Paese nordafricano escano almeno degli imputati, i pm italiani stanno indagando sull’Università di Cambridge, per conto della quale Regeni si era recato al Cairo a svolgere una ricerca sui sindacati indipendenti egiziani. In Terris ne ha parlato con Alberto Negri, giornalista del Sole24Ore con un ampio bagaglio d’esperienza come inviato in Medio Oriente.
Le indagini dei pm italiani si stanno rivolgendo a Cambridge. È un segnale positivo che l’ateneo abbia scelto di collaborare dopo le resistenze passate…
“Tutto ciò che va ad arricchire le nostre informazioni sul caso Regeni è da considerare positivo. Cambridge può aiutarci a capire qualcosa in più sul lavoro del ricercatore italiano, sui motivi della sua missione in Egitto, ma non bisogna dimenticare che Regeni è stato ucciso al Cairo. Ed è quindi lì che bisogna rivolgere le nostre attenzioni per far luce sul caso”.
Un lumino per far luce sul contesto nella sua interezza potrebbe però giungere anche da Oltremanica. Ad esempio sarebbe utile capire se il lavoro di ricerca di Regeni fosse stato concertato da Cambridge con le autorità egiziane…
“Quella di informare le autorità del posto prima di iniziare a svolgere un lavoro di ricerca su fenomeni sociali è una prassi precauzionale che di solito adottano gli istituti accademici. Tuttavia dopo il 2011, ha iniziato ad aleggiare un’aura di sospetto delle autorità egiziane nei confronti delle università occidentali, viste come agenti esterni che hanno contribuito alla caduta del regime di Mubarak. In tale contesto è possibile pertanto che questo tipo di prassi non sia stata sempre osservata”.
Non osservare questa prassi può comportare degli enormi rischi…
“È evidente. Le confido che sei mesi dopo la tragica fine di Regeni, sono stato personalmente contattato dalla famiglia di un altro giovane ricercatore italiano di un’università britannica, che non è però Cambridge. Mi è stato chiesto di rivolgere un consiglio al ragazzo, a cui era stata offerta la possibilità di andare in Egitto a svolgere una ricerca simile a quella di Regeni. Io ho proposto di accettare l’incarico solo se prima fossero state avvertite le autorità egiziane. Ebbene, la ricerca non è più stata fatta perché l’istituto britannico ha rifiutato”.
Questa circostanza di cui è testimone diretto svela che le università britanniche, talvolta, non usano prendere precauzioni nei confronti dei loro ricercatori inviati in contesti pericolosi…
“Indagare su Cambridge può aiutarci a far luce su questo aspetto, per capire se era stata prevista una qualche forma di tutela nei confronti di Giulio Regeni o se, come è facile supporre vista la fine che ha fatto, non sia stato tutelato a sufficienza”.
È realistico pensare che la sua tutor a Cambridge, Maha Abdelrahman, possa aiutare i pm italiani in questo senso?
“Io ritengo che questa docente – che è stata chiamata in causa come testimone e non come indagata – dovesse collaborare immediatamente con le autorità italiane fornendo tutte le informazioni in suo possesso. Soltanto che – a quanto pare – è un’attivista dei Fratelli Musulmani, quindi non vuole mettere in pericolo persone a lei legate che si trovano in Egitto. Però ripeto, la pista dell’omicidio è egiziana e, se si vuole fare chiarezza sul caso, bisogna percorrerla per bene”.
E non è stato fatto?
“Dalle carte che ha in mano l’Italia risulta che Regeni fosse seguito da settimane dalla Polizia locale, che aveva preparato un dossier su di lui basato anche sulle informazioni fornite dall’uomo del sindacato degli ambulanti con cui lui era in contatto. E nonostante questo, in due anni il generale al-Sisi non è riuscito a tirar fuori alcun colpevole dell’omicidio. Bisogna capire se c’è la volontà politica del regime egiziano di trovare un colpevole”.
Secondo lei c’è?
“Le rispondo con qualche pillola di cronaca di questi giorni. Il nipote di Sadat ha di recente affermato che non si candiderà alle prossime elezioni perché avrebbe subito intimidazioni. Nelle scorse ore è stato arrestato il generale Sami Anan, principale rivale elettorale di al-Sisi. Questo è il clima che si respira in Egitto. È dunque impervio bucare il muro di gomma, e i motivi sono anche di natura esterna”.
Quali sarebbero?
“Il regime di al-Sisi è amico di tutti. L’Egitto oggi ha buoni rapporti con Russia, Francia, Stati Uniti, ha inoltre un forte legame con il generale Haftar, che è a capo del Consiglio nazionale di transizione libico. E ancora: il Fondo monetario internazionale ha concesso all’Egitto un prestito di 12miliardi di dollari. Insomma, il contesto internazionale non è favorevole all’Italia per fare pressioni all’Egitto. Senza dimenticare che la stessa Italia non ha molto interesse a rischiare di ledere le sue relazioni con un grande partner commerciale: c’è il famoso giacimento dell’Eni a Zohr, ci sono attività bancarie ed industriali. Proprio il giorno in cui fu scoperto il cadavere di Regeni, al Cairo c’era una delegazione del ministero dello Sviluppo italiano…”.
Esatto: era presente anche l’allora ministro, Federica Guidi. Un caso che il cadavere del giovane italiano sia stato fatto ritrovare in coincidenza con quella missione commerciale?
“Tutto è possibile, non è da escludere nessun coinvolgimento in questo affare. Però è importante attenerci ai fatti, sennò facciamo confusione e dunque il gioco di chi in Egitto vorrebbe insabbiare. Ricordiamoci che i nomi degli autori del sequestro e dell’omicidio ce li potrà svelare soltanto Il Cairo, nessun altro”.
Quali fatti possono aiutarci a comprendere la vicenda?
“La Polizia egiziana stava seguendo Regeni. Le ipotesi sono due: o è stato ucciso dai poliziotti oppure i poliziotti sono stati gravemente negligenti perché hanno consentito che qualcuno lo uccidesse sotto il loro muso. Tradotto: o alcune branche della Polizia egiziana sono criminali oppure inaffidabili. Il monito che giunge da questa vicenda è che bisogna stare molto attenti, perché in quel Paese la sicurezza degli stranieri non è garantita”.