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Crisi Pd, Bersani avverte Renzi: “Se forza la mano sarà scissione”

Se Matteo Renzi forza la mano sarà scissione nel Pd e dalle sue ceneri nascerà un nuovo partito ulivista “largo, plurale, democratico”. Dopo Massimo D’Alema a minacciare la frattura è Pier Luigi Bersani. La minoranza dem vuole un congresso o primarie “vere”, perché leadership e programma siano “contendibili”. E Renzi accetta: dopo aver scalato il Pd con le primarie, spiegano i suoi, non sarà lui a negare una sfida nei gazebo, non darà agli avversari interni il pretesto per rompere. Se questo basti a evitare la scissione, però, è ancora presto per dire. Perché i bersaniani non si fidano del segretario. E i renziani osservano che con il proporzionale l’incentivo alla spaccatura è forte.

La giornata fa segnalare un picco di nervosismo tra i parlamentari Pd, di maggioranza e di minoranza, per l’uscita di Renzi sulla necessità di andare a votare per evitare che a settembre vengano maturati i vitalizi. “Ho visto qualcuno che piangeva”, racconta Bersani in un’intervista ad Huffington Post. I deputati di maggioranza dicono di essersi sentiti “traditi”, usati dal segretario per “lucrare consenso”. E l’agitazione rovina un clima che sembrava volgere al buono, dopo la calendarizzazione della legge elettorale alla Camera il 27 febbraio e l’apertura di Renzi a una trattativa “vera”: si può anche votare a giugno, come vuole il segretario, osservano i franceschiniani, ma è giusto arrivare alle urne avendo armonizzato le leggi di Camera e Senato.

Renzi al Nazareno ha incontrato diversi dirigenti e parlato con Orlando e Franceschini. Tiene insomma le fila del partito e si mostra lontano dal dibattito tutto politico sul sistema di voto, mentre prova a tracciare i binari della campagna elettorale. E così, mentre il comitato referendario “Basta un sì” cambia nome e diventa “In Cammino”, dal suo blog l’ex premier torna a battere sul tasto della battaglia in Europa. L’attacco di Trump al surplus commerciale della Germania, osserva, rilancia una critica già fatta dalla sinistra europea. E paradossalmente fornisce all’Ue “un’occasione per riflettere su se stessa”, a partire dalla richiesta di non usare “due pesi e due misure” per Berlino e i Paesi del Mediterraneo.

Fuori dal Nazareno, però, va avanti il confronto a sinistra. Michele Emiliano, dopo aver avviato la raccolta firme per il congresso, ha accusato Renzi di aver “sbagliato tutto” e di non volere ora un confronto interno perché “verrebbe travolto”. D’Alema ha assicurato di non considerarsi l’alternativa a Renzi e ha aggiunto che la nascita di un nuovo partito ci sarebbe solo se il segretario non concede il congresso. Ma poi ha osservato che i sondaggi danno il nuovo partito della sinistra all’11% e al 14%: “Ci sono tra i tre e cinque milioni di elettori di centrosinistra che non votano più Pd. Due partiti prenderebbero più voti del solo Pd”, ha sottolineato. E ha raccolto l’interesse di chi, come Nichi Vendola e gli altri dirigenti di Sinistra italiana, vuole andare a vedere le sue carte. Per provare poi magari a unire Luigi De Magistris e Giuliano Pisapia.

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