“Se lei cadesse, cosa succederebbe?”. “Gli africani si muoverebbero in massa verso l’Europa… e il Mediterraneo diventerebbe un caos”. Il botta e risposta è tra l’esperto inviato di guerra Fausto Biloslavo e Muhammad Gheddafi, nell’ultima intervista concessa dal rais prima che venisse ucciso. A guardare la Libia di oggi, otto anni dopo, sembra che Gheddafi fosse ben consapevole della sua importanza, per la stabilità del Paese di cui è stato sovrano assoluto in oltre quarant’anni e per l’intero scacchiere mediterraneo.
Situazione libica in stallo
Uno sguardo attento è stato posato ieri sul contesto libico, nel corso di un convegno in Senato. E lo scenario apparso non è troppo dissimile da quello prefigurato dall’ex rais: conflitto sempre più intenso e disarticolato che ha provocato oltre 600 vittime e migliaia di feriti, mani straniere che si contendono le risorse del sottosuolo, flussi migratori incontrollati. Tutte situazioni che vengono descritte in modo efficace nei disegni di Armando Miron Polacco e nel racconto di Biloslavo contenuti nel libro del corrispondente di guerra “Libia Kaputt” (ed. Signs Books). Il convegno – organizzato dal gruppo Fratelli d'Italia al Senato e dall'associazione di giornalisti Lettera22 – è stata anche occasione per presentare questo lavoro, un’agile e innovativa cronistoria degli accadimenti libici dal 2011 ad oggi, dove il racconto a fumetti di quanto visto da Biloslavo è seguito da una serie di articoli del giornalista pubblicati su Il Giornale e Panorama. Situazione libica che in queste ore, ha spiegato, è “di totale stallo”, in quanto “dopo due mesi di combattimenti nei pressi di Tripoli, le truppe del generale Haftar (sostenute da Francia, Egitto e Russia, ndr) non sono riuscite a dare la spallata ai miliziani che appoggiano il governo Serraj (riconosciuto dall’Onu e dall’Italia, ndr)”.
Gli “sbarchi fantasma”
L’inviato di guerra ha spiegato che “purtroppo il conflitto libico sempre più somiglia a quello siriano, di intensità più bassa, ma con oltre centomila sfollati”, dei quali “molti potrebbero decidere di venire da noi e, in quanto profughi di guerra, dobbiamo accoglierli”. La quotidianità di Tripoli che Biloslavo ha filmato racconta dell’inferno che si vive nei centri di detenzione per migranti, ma anche di moltitudini di altri migranti che affollano le strade della città, vivendo di espedienti con la speranza, un giorno, di imbarcarsi per l’Italia. Uno di loro, intervistato, racconta che le partenze sono drasticamente diminuite perché – afferma il giovane camerunense in un italiano zoppicante – “il ministro Salvini ha bloccato l’emigrazione dalla Libia”. I numeri dimostrano che è così: dal primo gennaio – si legge sul sito del Viminale aggiornato a ieri – sono sbarcati nel Belpaese 2.144 migranti, contro i 14.391 di un anno fa e i 61.799 del 2017. “Ma non dormiamo sugli allori”, è l’invito di Biloslavo. Il quale ha mostrato una foto riservata di uno dei barchini veloci partiti dall’est di Tripoli. A bordo ci sono meno di dieci uomini, apparentemente sereni, ma che poco prima di essere immortalati – ha raccontato il giornalista – si sono lasciati alle spalle un’imbarcazione della guardia costiera libica puntando potenti armi verso i militari disarmati. Chi sono questi viaggiatori? Sono diretti forse in Italia? E con quali intenzioni? La presenza di armi non sembra suggerire una risposta confortante a quest’ultima domanda. “È vero che gli arrivi sono calati dell’85% in un anno, ma magari ci sono altri ‘sbarchi fantasma’ più preoccupanti”, l’osservazione di Biloslavo.
La “contronarrativa” per dissuadere i migranti
Per intercettare anche questi “sbarchi fantasma” è dunque necessario un lavoro più ampio, di carattere militare stricto sensu “sia nazionale che multinazionale”, ma non solo. Questa l’opinione del generale Marco Bertolini, già comandante del Comando operativo di vertice interforze e della Brigata Folgore. Per l’alto ufficiale è necessario un intervento militare nel Mediterraneo, quello che viene semplicisticamente definito “blocco navale”, che tuttavia impone ingenti spese militari che non potrebbero essere sostenute solo dall’Italia. Di qui la necessità, a suo avviso, di rilanciare l’Operazione Sophia dell’Unione europea (ora interrotta) che “in una prima fase si proponeva di sequestrare i barconi di migranti”, per poi in altre due fasi “intervenire in acque e in territorio libici” contro coloro che gestiscono le partenze verso le coste settentrionali del Mediterraneo. Ma per Bertolini “non si può risolvere il problema libico solo con lo sforzo militare”. Secondo il generale vanno coltivati i rapporti diplomatici con influenti Paesi vicini alla Libia, su tutti l’Egitto, che ha definito “rappresentante degli interessi russi nel Mediterraneo”. E sul tema del controllo dell’immigrazione, Bertolini ritiene fondamentale “impedire che i migranti arrivino in Libia”, “facendo pesare gli aiuti che diamo ai Paesi in via di sviluppo” per convincerli a frenare le partenze. Ma non basta, l’alto ufficiale italiano ha parlato anche di un lavoro di contronarrazione da attuare presso l’opinione pubblica africana. “Organizzazioni che sfruttano l’immigrazione – ha detto – svolgono un lavoro di propaganda a favore dei viaggi verso l’Europa. Ecco, noi dobbiamo essere in grado di impostare una narrativa contraria, per convincere i giovani a costruire il proprio futuro in patria”. In che modo? “Dobbiamo sfruttare la tv e la radio per modificare le aspettative di quelle popolazioni”, il parere di Bertolini.
La competizione della Francia con l'Italia
Popolazioni che vivono in territori, sotto il Sahara, spesso controllati dalla Francia. Il Paese al di là delle Alpi, nel contesto africano, ha avuto verso l’Italia atteggiamenti in passato, che non sembrano quelli di un alleato. L’inviato Biloslavo ha spiegato che un alto ufficiale italiano in Libia gli raccontò, in pieno intervento militare contro Gheddafi, che i francesi proponevano come obiettivi “infrastrutture dell’Eni” arrecando al loro interno una presenza mai dimostrata di carri armati nemici. Un mero errore strategico? Non per Andrea Delmastro (deputato di FdI), che ha accusato il presidente francese Emmanuel Macron di “voler estromettere l’Eni e l’Italia dalla Libia” per rimpiazzarla con la sua compagnia petrolifera Total e scatenando “una tempesta di migranti” verso le nostre coste. Ne deriva l’appoggio transalpino alle truppe di Haftar, contro Serraj che ha stretto accordi con l’Italia anche per frenare l'emigrazione. C’è poi l’accusa dell’onorevole al governo: “La Libia è strategica non solo per questioni di sicurezza internazionale, ma anche per l'approvvigionamento energetico italiano, eppure è stata trattata con leggerezza”. Egli è dell'avviso, ad esempio, che la conferenza sulla Libia di Palermo sia stata foriera solo di propositi astratti. Molto più concreti sono invece gli obiettivi di chi alimenta il conflitto libico, un caos che rischia di degenerare nel “giardino di casa” italiano.
Proiezione di un'immagine tratta dal libro “Libia kaputt” durante il convegno al Senato