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rima il “Rapporto Coop 2019” su consumi e stili di vita degli italiani ha indicato che il divario tra Nord e Sud è di 10 mila euro all’anno. Ventiquattr’ore dopo arriva un’altra rilevazione preoccupante: le previsioni su consumi e spesa delle famiglie elaborate dal Cer Ricerche per Confesercenti rivedono al ribasso, dal +0,4 al +0,3%, le stime rilasciate in primavera.
Carrello della spesa mezzo vuoto
“La spesa delle famiglie continua a frenare: nel 2019 la variazione dei consumi si fermerà a +0,3%, il valore più basso raggiunto negli ultimi cinque ann i- riferisce Adnkronos-.Un valore che, oltretutto, è tenuto su da servizi e spese obbligate: nei primi sei mesi dell’anno, rispetto a dicembre 2018, sono infatti spariti 908 milioni di acquisti delle famiglie in beni”. Secondo le previsioni, a crollare è soprattutto la spesa in beni semidurevoli (vestiti, calzature, libri e la gran parte dei prodotti commerciali), che nei primi sei mesi del 2019 si contrae di -503 milioni di euro rispetto a dicembre 2018. Giù di -341 milioni anche gli acquisti di beni durevoli come automobili, arredamento, elettrodomestici, mentre la flessione per i consumi non durevoli, come alimentari e prodotti per la pulizia della casa o la cura della persona è di -54 milioni di euro.
Crescono solo i servizi
Cresce invece di un miliardo di euro quella per servizi, voce che però include anche diverse spese fisse, dalle bollette ai servizi sanitari. I consumi, evidenzia Adnkronos, si confermano dunque la componente più debole della domanda interna italiana: nello stesso periodo gli investimenti sono aumentati dell’1,9% e le esportazioni dell’1%. Lo stop dei consumi deve essere considerato la vera emergenza dell’economia italiana, e che si traduce in una perdita netta di Pil: tornare alle dinamiche del 2016-17, consentirebbe di recuperare lo 0,5% di crescita. Secondo l'analisi, invece, il 2020 dovrebbe vedere un miglioramento, anche se lieve: si stima una variazione finale dei consumi del +0,5%, sostenuta sempre principalmente dai servizi. In questo contesto, è assolutamente da scongiurare l’aumento dell’Iva: come più volte segnalato da Confesercenti, l’intervento avrebbe un costo insostenibile per le famiglie, il cui potere d’acquisto subirebbe una decurtazione di 18 miliardi nell’arco di un biennio. “Lo stop dei consumi ha un forte impatto sul commercio: già chiudono 14 negozi al giorno, ed il bilancio potrebbe peggiorare ancora”, commenta all’Adnkronos la presidente di Confesercenti Patrizia De Luise.
Tesoretto di 6,5 miliardi
“Un problema per le piccole e medie imprese ma anche per la crescita: i consumi valgono il 60% del Pil, se non ne ripristiniamo uno stabile sentiero di crescita non usciremo dalla stagnazione. La spesa delle famiglie deve tornare al centro della politica economica”. E continua De Luise: “Gli spazi ci sono, la minore spesa per interessi vale un tesoretto di 6,5 miliardi di risparmi già dal prossimo anno. Bisogna usare queste risorse per scongiurare gli aumenti Iva: è il primo passo necessario per tamponare la frenata della spesa degli italiani. Diciamo no anche ai ritocchi selettivi delle aliquote: abbiamo bisogno di un taglio delle tasse, non del loro ennesimo aumento mascherato. Sì, invece, alla riduzione del cuneo a vantaggio dei lavoratori. Ma senza scambi con l’Iva: la riduzione delle tasse sui redditi si deve accompagnare al congelamento degli aumenti, non essere da questi finanziata”. Gli italiani, secondo il rapporto Coop 2019, lavorano circa 360 ore all’anno in più rispetto ai tedeschi, ma guadagnano oltre il 30% in meno. Questo perché il lavoro italiano è “povero”, cioè ha una remunerazione più bassa. Ma gli abitanti del Bel Paese detengono anche il record negativo di produttività delle ore di lavoro. Questo genera insoddisfazione: il 66% dei part time vorrebbe lavorare a tempo pieno, mentre il 32% del totale ritiene di non aver raggiunto il giusto equilibrio tra lavoro e vita privata. Riguardo al reddito di cittadinanza, precisa il Corriere della Sera, sono state evidenziate delle correlazioni statistiche tra la crescita dei consumi e la percentuale di domande accolte per ottenere il Reddito. Si è visto che al Sud, proprio nelle città in cui c’è una più alta concentrazione di persone che abbiano ottenuto il sussidio, sono cresciuti i consumi. Sempre nel Mezzogiorno, inoltre, si è registrata l’ascesa dei discount, che nel 2019 hanno avuto un incremento notevole: sono passati dal -0,6 di luglio 2018 al 2,6 di giugno 2019.
Nuove tendenze alimentari
Tra le tendenze dell’istant food, il cibo già pronto al supermercato, uno spazio considerevole se lo prende il sushi: il 42% degli italiani afferma di esserne un alto acquirente. Sempre più spesso gli ipermercati e gli store allestiscono i sushi corner, a fronte delle richieste dei consumatori. Il 7% degli italiani afferma di comprare sushi nei punti vendita almeno una volta settimana, o più, mentre il 17% almeno una volta ogni 15 giorni. Il 18% sceglie il sushi già pronto almeno una volta al mese, e sempre il 18% lo consuma ogni due o tre mesi. C’è poi un 15% che afferma di comprarlo raramente, e un 13% che non l’ha mai messo nel carrello.
Ci salva il Made in Italy
Va meglio all’estero: gli influencer dell'agroalimentare di Stati Uniti, Canada e Messico prediligono la mozzarella di bufala, seguita dalla pasta fresca, in base a un'indagine sulle tendenze di consumo del Made in Italy nei tre Paesi, diffusa da Assocamerestero, l'associazione delle 78 Camere di Commercio italiane all'estero (Ccie) e Unioncamere. L'analisi è stata realizzata nell'ambito del Progetto “True Italian Taste”, promosso e finanziato dal ministero dello Sviluppo economico e realizzato da Assocamerestero con le Camere di commercio italiane all'estero, per promuovere la conoscenza del vero Made in Italy agroalimentare, in contrasto al fenomeno dell'Italian Sounding. Tra i formaggi, evidenzia l’Ansa, sono risultati molto apprezzati anche il gorgonzola (39,3% del campione totale), l'Asiago (33,8%) e il mascarpone (27,4%). Al secondo posto tra i prodotti più scelti (38,5%) c'è la pasta fresca, al primo posto negli Stati Uniti (46,4%), al secondo in Messico (45,2%), mentre in Canada il prodotto si è classificato al 17/o posto (22,7%), a fronte di una spiccata preferenza per le olive in salamoia (41,8%).