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Con lo Stato al volante quale futuro per Autostrade?

La tragedia del Ponte Morandi a Genova ha riaperto il dibattito riguardante l’intervento diretto dello Stato in economia, coerentemente con l’impostazione che sia il Movimento 5 Stelle sia la Lega a “trazione salviniana” hanno spesso esplicitato negli scorsi anni.

Scontro fra visioni

È indubbio che, oggi, venuta meno la differenza storica tra destra e sinistra il vero “scontro” politico si esplica tra statalisti e antistatalisti: entrambe le posizioni possono mostrare dei punti forti a sostegno delle proprie tesi ma, specularmente e asintoticamente, entrambe possono portare a distorsioni che, alla fine, danneggerebbero l’utente finale.

Italia e nazionalizzazioni

L’Italia, storicamente, viene da una lunga storia di intervento diretto dello Stato in economia, iniziato con Mussolini e la creazione dell’Iri e continuato fino agli anni ’90 passando per la nazionalizzazione dell’energia elettrica a inizio anni ’60 che fu, probabilmente, l’azione sistemica più importante mai messa in atto nel Paese.

Paghiamo tutti

Quando un settore economico opera in regime di monopolio statale, come da definizione, è sottratto alla dinamica della concorrenza e del mercato e i prodotti o servizi possono essere erogati a carico della fiscalità generale, a prezzo calmierato (quindi con una quota a carico ancora della fiscalità e un’altra a carico dell’utente) oppure a prezzo di costo. Come si vede non esistono servizi gratuiti ma, al massimo, servizi con un costo ripartito su tutti, utilizzatori o meno, il che non è necessariamente un male ma andiamo per gradi nel ragionamento.

Fortune alterne

Con gli anni ’90 e l’accelerazione nel processo di integrazione europea sorse la necessità di ridurre l’intervento statale nell'economia, come previsto dai Trattati, e i governi di allora si trovarono di fronte lo scoglio delle privatizzazioni. Questa è storia recente e tutti, oggi, abbiamo esperienza di cosa abbiano portato queste operazioni. Alcune sono andate decisamente bene portando netti vantaggi in termini di prezzi e utilità generale alle persone altre un po’ meno, portando a continui rincari, come quella relativa alla gestione delle autostrade.

La differenza

Qual è la differenza tra di esse? La differenza si nasconde dietro la parola liberalizzazione. Sì, perché una privatizzazione da sola non serve a nulla, se non a “fare cassa” per l’Erario. Per poter avere dei vantaggi tangibili dal mercato occorre che questo sia liberalizzato, quindi con la scomparsa del monopolio iniziale in cui operavano le imprese (o gli enti) direttamente controllati dalla mano pubblica. I vantaggi, infatti, sono ascrivibili all’apertura alla concorrenza che spingerà gli operatori a competere per tariffe e qualità del servizio per poter rafforzare la propria offerta portando, alla fine, un vantaggio netto, in termini di utilità generale, anche dal lato della domanda.  

Limiti

Non in tutti i settori, però, è possibile operare una vera liberalizzazione poiché per questioni legate a tecnologia disponibile o per la natura stessa del settore economico non è possibile che vi sia più di un solo operatore: sono i casi di monopolio naturale. I principali esempi di quest'ultimo sono legati alla realizzazione di infrastrutture, come la rete ferroviaria, la rete stradale e autostradale, quella per la distribuzione dell'acqua, del gas, dell'elettricità, eccetera. La situazione descritta genera una rendita di posizione all'operatore unico e giustifica, quindi, l'intervento del potere pubblico per evitare distorsioni e massimizzare l’utilità agli utenti.

Forme

Questa, ovviamente, può assumere due forme principali che sono la nazionalizzazione dei gestori o l’affidamento di una concessione a un privato che operi con obblighi sulla qualità minima dei servizi erogati ed, eventualmente, con l’apposizione di un price cap sulle tariffe finali ed il tutto formalizzato in un contratto a scadenza e rinnovabile tramite gara d’appalto. Cose che, in effetti, non si sono viste nel campo autostradale dove, invece, erano state poste delle condizioni di favore assolute verso il concessionario anche sulla remunerazione minima del capitale investito. Il tutto ben al di là di ogni logica di mercato, come è divenuto palese dalla pubblicazione dei contratto, prima secretato, con Autostrade per l’Italia.

Ci pensa lo Stato

La vicenda dimostra che, nel caso dei monopoli naturali, non sia così assurdo pensare a una gestione diretta da parte dello Stato, così come avviene in Paesi con economie ben più libere di quella italiana come Usa o Regno Unito ed è ovvio che non si possa parlare di servizio gratuito, come già si diceva poc’anzi, perché, come sosteneva Robert A. Heinlein in una battuta poi fatta sua da Milton Friedman, “Non esistono pasti gratis”. Qualcuno, infatti, il conto dovrà sempre pagarlo ma in questi casi l’accollo dei costi in seno alla fiscalità generale rappresenterebbe una soluzione efficiente per tutti, magari indirizzando alla manutenzione e alla gestione della rete autostradale il gettito delle accise sui carburanti (di cui, ovviamente, si auspica una rimodulazione verso il basso) e un contributo una tantum per l’uso delle autostrade come avviene in Svizzera. Anche in un’ottica di mercato, infatti, laddove non sia possibile aprire alla concorrenza non è escluso che la soluzione migliore possa essere la gestione diretta da parte dello stato nelle forme giudicate tempo per tempo più efficienti affinché l’utilità e l’accessibilità ai servizi sia garantita nella maniera più efficiente ed economica a tutti gli utilizzatori finali.

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