“Totò Riina deve continuare a stare in carcere e soprattutto rimanere in regime di 41 bis“. E’ il monito del procuratore nazionale Antimafia, Franco Roberti, intervistato dal Corriere della Sera. “Si tratta – osserva – di un annullamento con rinvio, il Tribunale dovrà integrare la motivazione sui punti indicati dalla Cassazione e sono certo che a quel punto reggerà l’intero impianto. Questa decisione non mi preoccupa”.
La Suprema Corte dice che non è motivata a sufficienza l’attualità del pericolo, ma “siamo perfettamente in grado di dimostrare il contrario – afferma -. Abbiamo elementi per smentire questa tesi. E per ribadire che Totò Riina è il capo di Cosa nostra“, “le indagini sono in corso e non ho nulla da dire, né potrei farlo. Ma vorrei ricordare che il pubblico ministero Nino Di Matteo vive blindato proprio a causa delle minacce che Totò Riina ha lanciato dal carcere. Se non è un pericolo attuale questo, mi chiedo che altro dovrebbe esserci”. Secondo Roberti, le condizioni di salute di Riina non sono incompatibili con il regime carcerario del 41 bis: se davvero il carcere di Parma non fosse attrezzato a sufficienza, “nulla impedirebbe il trasferimento in un’altra struttura di massima sicurezza. Ma dico per Riina quello che avevamo già sostenuto nel caso di Bernardo Provenzano, che era in condizioni addirittura più gravi: deve rimanere in carcere al 41 bis”.
A ridimensionare la portata della decisione della Cassazione ci pensa Luciano Violante. “Non ha autorizzato la scarcerazione – spiega al Mattino-. Ha semplicemente affermato che in condizioni di salute particolari è prevalente il diritto a una morte dignitosa, che solo può soccombere di fronte alla pericolosità criminale del detenuto. Il tribunale di Bologna è stato invitato a verificare se lo stato di salute di Riina è tale da precludere al boss la facoltà di dare indirizzi criminali a Cosa Nostra. Se così fosse, come per tutti, vale il diritto a concludere i propri giorni in maniera dignitosa”.
Violante riconosce che “di fronte alla storia di quello che è stato un feroce assassino, interrogativi e allarmi sono del tutto legittimi. Ma non occorre confondere i principi che ispirano il 41bis con l’eventuale scarcerazione del boss, leggendovi quasi un segnale di allentamento. Il punto vero è che la Repubblica non può rispondere alla mafia utilizzandone le stesse spietate logiche di vendetta. La dignità della morte, a condizione che non sia più in grado di nuocere e che versi in condizioni di salute irreparabili, va garantita anche al criminale della peggior risma“.