I giudici della quarta sezione del Consiglio di Stato, con tre sentenze pubblicate nelle ultime settimane, ha bocciato i ricorsi presentati dalle Regioni Abruzzo e Puglia e dagli enti locali contro il decreto Via (valutazione di impatto ambientale) che riguardava due permessi di ricerca di gas e petrolio rilasciati alla compagnia inglese Spectrum Geo. Con la loro decisione, i giudici amministrativi, di fatto, hanno dato il via libera all'attività di trivellazione in un'area di 30 mila chilometri quadrati al largo della costa adriatica, dall'Emilia Romagna fino alla Puglia.
Le sentenze
Le decisioni, anticipate dal Nuovo Quotidiano di Puglia, sono contenute in una serie di sentenze pubblicate tra il 28 febbraio e l’8 marzo. Nel dettaglio le sentenze sono tre, tutte della quarta sezione del Consiglio di Stato. Le prime due, del 28 febbraio, riguardano due ricorsi analoghi presentati della Regione Abruzzo, che avevano visto l’intervento della Regione Puglia a sostegno di parte delle posizioni sostenute dall’Abruzzo. La terza dell’8 marzo è relativa a un ricorso presentato dalla provincia di Teramo e da una serie di comuni della costa abruzzese.
Approvato il metodo “air gun”
In questo modo, la società Spectrum Geo potrà riprendere le ricerche con il metodo “air gun”, la tecnica utilizzata per trovare idrocarburi nei fondali marini, che consiste nello sparare in profondità aria compressa. Rossella Muroni, eletta alla Camera con LIberi e uguali, in un post su Facebook ha speigato che l'air gun “provoca onde sismiche sottomarine in grado di scandagliare i fondali attraverso appositi rilevatori sonori per verificare o meno la presenza di petrolio. Il rumore prodotto da un airgun è pari a 100.000 volte quello di un motore di un jet“. La Puglia aveva presentato anche un progetto di ricerca sul monitoraggio e conservazione dei cetacei in Italia e il principio di precauzione in base al quale non ci sono abbastanza elementi per dire se gli airgun sono rischiosi.
Il referendum “Notriv” del 2016
Nell'aprile del 2016, in Italia si è svolto il referendum ribattezzato “no triv“, con il quale si chiedeva di abrogare la norma che concedeva l'attività delle piattaforme marine entro le 12 miglia nautiche fino ad esaurimento dei giacimenti. La consultazione era fallita per il mancato raggiungimento del quorum.