Gli sprechi nella Pubblica Amministrazione non mancano, a certificarlo è uno studio condotto da due economisti della Banca d’Italia, che hanno rilevato “squilibri” nella mappa dei dipendenti pubblici, con uffici, soprattutto al Centro-Sud, dove per ottenere gli stessi risultati si impiegano più risorse di personale. Sacche di improduttività che non riescono a essere aggredite: la mobilità, la possibilità di trasferire i travet dove ce ne è bisogno, ancora incontra troppi ostacoli, denunciano i ricercatori di via Nazionale in una pubblicazione, uscita in settimana, e dedicata alla “distribuzione dei dipendenti pubblici in Italia”.
Il dossier rimette al centro quindi la questione della produttività che probabilmente sarà anche tema di discussione martedì prossimo, 26 luglio, data dell’atteso incontro tra la ministra della P.a, Marianna Madia, e i sindacati. L’indagine di Francesco D’Amuri e Cristina Giorgiantonio offre un quadro chiaro. Da “un approfondimento” sui servizi anagrafici dei Comuni emerge “l’esistenza di scostamenti significativi dalla relazione media tra input – ore lavorate – e output – servizi erogati – con dotazioni di personale maggiori nel Centro-Sud e dove il livello di disoccupazione è più elevato”. Tanto che se la fascia dei Municipi appartenente al 25% di quelli meno efficienti contenesse il divario di produttività, riagganciando i livelli degli altri, “si verificherebbe una riduzione delle ore lavorate totali pari al 7,6% (33% nei Comuni interessati)”.
Tutto questo, si ricorda, accade in un Paese con “croniche disfunzioni” e “carenze di personale”, come nel comparto giudiziario, dove, stando a dati riportati a livello ministeriale, “i tassi di scopertura nell’organico del personale amministrativo si attestano in media sul 17%”. Nonostante ciò il livello di mobilità dei dipendenti pubblici è “generalmente ridotto”. Dei passi avanti sono stati fatti però, riconosce lo studio, con gli ultimi provvedimenti del Governo, pur se le “incertezze” restano. Un capitolo fondamentale si aprirà con l’incontro a palazzo Vidoni.
I sindacati vedono di buon occhio l’idea avanzata nei giorni scorsi dal sottosegretario alla P.a, Angelo Rughetti, ovvero riportare alcune materie nell’alveo della contrattazione, spostando la valutazione sulle amministrazioni: target precisi da raggiungere a livello di ‘squadra’, disponendo di una certa autonomia. Premi per chi fa bene, penalizzazioni per chi resta sotto gli obiettivi. Per fare ciò serve la legge e infatti la partita rinnovi va in parallelo con la definizione di nuove regole. Alcuni sindacalisti spingono per un decreto subito, così da rivedere la legge Brunetta senza dovere aspettare il Testo Unico sul pubblico impiego per cui la delega scade a febbraio.
Ma il tema principe resta legato agli aumenti salariali da far ricadere nel primo livello, nel contratto nazionale, posto che Madia ha già chiarito le direttrici dell’atto di indirizzo, da ufficializzare all’Aran probabilmente dopo la pausa estiva: dare di più a chi guadagna di meno. Inutile dire che il tavolo si incrocia con la legge di Stabilità, dove poter stanziare ulteriori risorse per la tornata contrattuale 2016-2018. I fronti aperti non finiscono comunque qui.
Altre criticità vengono fuori da un’ulteriore ricerca, dedicata sempre alla P.a da economisti di palazzo Koch. Focus che rileva la “diffusione di modalità di reclutamento meno selettive e più precarie, politiche retributive e di carriera che remunerano poco l’istruzione e le competenze, procedure di selezione rigide e orientate all’assunzione di profili generalisti”, nonché “l’applicazione indifferenziata di sistemi di incentivo”.