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BANCHE, L’EUROGRUPPO GELA L’ITALIA MA LA BCE APRE AGLI AIUTI

Le banche italiane potevano essere risanate prima, usando soldi pubblici. Oggi le regole sono più stringenti. Jeroen Dijsselbloem, il presidente dell’Eurogruppo, gela l’Italia alle prese con il caso Montepaschi, ma dal vicepresidente della Bce arriva un’apertura senza precedenti a Roma nel negoziato con la Commissione Ue: dopo Brexit occorre una “profonda riflessione” se non valga la pena dare aiuti pubblici. Anche derogando al principio della ripartizione degli oneri con gli investitori privati. In una giornata, quella di ieri, caratterizzata da nuova instabilità di Piazza Affari a causa delle banche, con Mps a nuovi minimi record, due nomi di peso si affacciano sulla trattativa fra Roma e Bruxelles.

Dijsselbloem, da sempre vicino alle posizioni tedesche, ribadisce che un sostegno in questa fase di tumulto sui mercati non può avvenire eludendo la direttiva sulle banche e le nuove regole della direttiva europea sui salvataggi. “Altri Paesi sono riusciti a ristrutturare le proprie banche con mezzi pubblici e gli italiani non lo hanno fatto allora – ha detto intervenendo all’Aja – ma ora abbiamo regole più severe”. Nel caso italiano, significa che un’iniezione di fondi pubblici, a partire dal primo banco di prova, in Montepaschi, deve avvenire col contributo di una conversione delle obbligazioni subordinate in capitale. A meno che non vi sia il rischio di instabilità finanziaria, come prevede una deroga al principio generale prevista dalle norme Ue.

Un irrigidimento che somiglia a una replica alle parole del premier Matteo Renzi, che aveva buttato la palla nel campo europeo dicendo che la vera questione sono i derivati delle banche continentali (riferimento implicito a Deutsche Bank). E’ la Bce, per bocca non dell’italiano Mario Draghi ma del suo vice, a tendere una mano, implicitamente, alle ragioni italiane. “La situazione attuale, con nuovi cali delle azioni dopo Brexit, merita una profonda riflessione sull’opportunità di superare alcune imperfezioni del mercato con un po’ di sostegno pubblico per migliorare decisamente la stabilità di alcuni settori bancari”.

Il timore di Francoforte è quello che infliggendo perdite agli obbligazionisti subordinati, come prevede la regola generale, possa creare instabilità: è la fattispecie che consentirebbe di derogare al principio della “condivisione degli oneri” fra intervento pubblico e privati. Per Constancio “naturalmente” le regole vanno applicate, ma vanno considerate “nel complesso”, incluso il possibile utilizzo della deroga per ragioni di stabilità finanziaria”.

Un ragionamento che fa breccia nei circoli finanziari internazionali: l’Economist parla di quella italiana come una situazione esplosiva che, se mal gestita, “potrebbe segnare il disfacimento dell’Eurozona” innescando un effetto domino. E consiglia all’Europa di chiudere un occhio: se salta il tappo delle banche, Renzi rischia il referendum e a quel punto potrebbe tornare il caos politico. La trattativa tra Roma e Bruxelles, vede contatti “continui” ma “la nostra posizione non cambia”, dice il portavoce della commissaria alla concorrenza Margrethe Vestager, che vigila sul rispetto delle norme sugli aiuti di Stato.

Resta da vedere se il peso politico della Bce, oltre alle sue valutazioni tecniche, non sposteranno la Commissione Ue dalle sue posizioni. Molto dipenderà da Berlino, che rimbrotta più o meno esplicitamente che Roma doveva muoversi prima, quando invece diceva “le nostre banche stanno meglio di quelle degli altri”. Angela Merkel ha lo spettro delle elezioni l’anno prossimo, una linea troppo morbida favorirebbe gli euroscettici con conseguenze imprevedibili. Ma una fase di instabilità interna nell’Eurozona potrebbe rappresentare una prospettiva ancora più preoccupante.

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