Di fronte ad Agnese ci si sente piccoli, molto piccoli. Non perchĆ© sia la figlia di Aldo Moro, nĆ© perchĆ© ha dignitĆ di vittima. PerchĆ© ĆØ Agnese. Eā difficile da spiegare, bisogna conoscerla. Quello che piĆ¹ colpisce di lei ĆØ la leggerezza con cui riesce a raccontare una storia cosƬ drammatica, che ĆØ soprattutto la sua, ma appartiene a tutti noi, padri e figli. Leggerezza e ironia in un racconto di morte e orrore, ma anche di vita e rinascita, di urla mute che si trasformano in dialogo. E tu sei lƬ, che la ascolti in silenzio rapito, e continueresti ad ascoltarla per ore, perchĆ© ti rendi conto di trovarti di fronte ad una testimonianza straordinaria. Di quelle che, almeno una volta nella vita, tutti dovrebbero ascoltare.
Agnese e il perdonoā¦
“Non mi piace parlare di perdono, non ho pensato al perdono se non per piĆ¹ di 30 secondi in vita mia. Questa nostra possibilitĆ di incontro nasce dalla distruzione di una vita, quella di mio padre, e dei 5 uomini della sua scorta, tutte bravissime persone, alcune erano con noi da quando io ero piccola. E nasce da un periodo che per me ĆØ stato una finestra sul male, sulle tante facce che il male assume. Avevo 25 anni, la mia vita ĆØ stata toccata da questa āvisione fisicaā , volti, parole , soprattutto parole non detteā¦ lāindifferenza lāimbroglio lāangoscia nellāattesa che qualcosa venisse fatto, una liberazione desiderata che non ĆØ mai avvenuta, lāincertezzaā¦ Un male che spesso ha la faccia dei buoni. Questa ĆØ una delle cose che ho capito, che mi ĆØ rimasta in tutta la vita: nessuno puĆ² fare del male senza essere coperto dai buoni, nessuna brava persona puĆ² venire uccisa in nessuna parte del mondo se i buoni non girano la testa dallāaltra parte”.
Nel mondo rovesciato senza distinzione tra buoni e cattivi, Aldo Moro viene rapito il 16 marzo e assassinato il 9 maggioā¦Ā
“Ovviamente un periodo che si ĆØ concluso con una morte, una morte anche vissuta male perchĆ© non cāĆØ stato tempo di capirla, di poterla vivere, perchĆ© abbiamo dovuto lottare per avere il suo corpo, per poterlo vedere morto, per poterlo seppellire come ci pareva e per non permettere che venisse fatto oggetto di una postuma venerazione da coloro che erano corresponsabili della sua morte. Quindi ĆØ una morte che ĆØ vissuta male, non abbiamo avuto tempo di viverla perchĆ© abbiamo dovuto difendere questa persona ā mio padre – anche dopo la sua morte. Era in vita una persona bella, spiritosa, anche molto buffa, un padre bello, attento.. e ti ritrovi a 25 anni e cāĆØ la sua assenzaā¦ Ā E tu vivi nellāimmediato, nellāorrore nellāodio nella rabbia e rancore. Ā E vivi il senso di colpa perchĆ© mio padre non ĆØ stato abbattuto uscendo da casa,Ā mio padre ĆØ stato lƬ 55 giorni e io non sono riuscita aiutarlo. E da tutto questo magma, questa ebollizione, nasce un desiderio di giustizia. Di giustizia per lui di giustizia per noi di giustizia per me”.
Ha avuto una risposta questo desiderio di giustizia?
“E che cosa ti viene offerto perchĆ© tu abbia giustizia? La nostra societĆ ti offre la giustizia penale, quindi indagini, individuazione dei colpevoli, processi, condanne, pena, che da noi vuol dire solo la galera. Certamente cāĆØ qualcosa di positivo in quello che fa il diritto penale, la prima cosa positiva che fa ĆØ che fischia dei falli. Nella vicenda di mio mio padre il contesto era il fatto che violenza puĆ² essere giusta quando si fa lotta politica, questo ĆØ un fatto oggi molto dimenticatoā¦ Ā ma la cultura di quegli anni anche nel mondo cattolico consentiva di credere che la violenza fosse una legittima risposta politica. Ecco, la giustizia ĆØ stata importante perchĆ© ha stabilito che non ĆØ vero, la violenza va fermata. Comunque a me del fallo fischiato in fondo importava poco. PerchĆ©, con tutti i problemi, la fatica immensa di anni di processi, ero senza una risposta. Ero con i miei sentimenti, che avevano degli effetti”.
Degli effetti?
“GiĆ , e sono effetti molto gravi per la persona che li prova.Ā E te ne accorgi piano piano, ci sono delle ferite, esistono dei cocci che rimangono della tua vita per sempre.Ā Il piĆ¹ fastidioso di tutti ĆØ la dittatura del passato: tu puoi andare avanti, e io sono andata avanti, mi sono sposata, ho avuto tre figli, ho fatto di tutto della mia vita cose giuste e meno giuste, eppure una parte di me ĆØ ferma tra il 16 marzo e il 9 maggio del 1978ā¦ e qualsiasi cosa venga detta tu sei lƬ, ti riporta li. Sei prigioniero del passato, sei isolato. Hai dentro un urlo che non riesce a uscire, non puĆ² trovare le parole perchĆØ tu sei convinto che nessuno potrĆ ascoltarti e nessuno potrĆ capirti. Ā Hai presente il quadro dellāurlo di Munch, dove cāĆØ questāurlo mutoā¦ Vi rendete conto che lui non ĆØ solo, perchĆ© dietro ha delle persone, perĆ² se voi guardate il suo viso invece ĆØ solo, perchĆ© non ha nessuna possibilitĆ di entrare in contatto con quelle persone che potrebbero anche volergli dare una botta intesta, ma anche dargli una manoā¦ dire ti aiuto, sono con te”.
E come hai fatto a trasformare questāurlo, a guardarti intorno?
“Eā una situazione terribile in cui i morti hanno piĆ¹ spazio dei vivi nella tua vita: tu vivi per i morti,Ā per onorare i morti, le tue scelte sono per loro. E invece le persone sono vive accanto a te, e quelli che piĆ¹ ami, i tuoi cari, gli amici, la famigliaā¦ questi vengono sempre dopo di loro, dopo i morti. Questo ha delle conseguenze molto molto serie perchĆ© poi nessuno puĆ² tornare indietro e ripagare quelle persone di ciĆ² che gli hai tolto, della lontananza. E poi ti rendi conto che cāĆØ una catena di male perchĆ© un atto di male non ĆØ unico, non colpisce una sola situazione ma si espande nel tempo e nello spazio e non si ferma a quellāatto: il male che era stato fatto con un intento specifico, puntuale, chirurgico, in realtĆ produce effetti molto al di lĆ di quelli che le persone volevano dargli. Quando GesĆ¹ sulla croce dice 'perdonali perchĆ© non sanno quello che fanno' non dice solo una cosa meravigliosa ma dice anche una cosa vera, perchĆ© quelli davvero non lo sanno cosa stanno facendo. Tu puoi anche non dire una parola ā e io non la dicevo – ma quei sentimenti che hai dentro, rabbia odio, si trasmettono a chi ti sta intorno e coinvolgono persone che neanche cāerano allāepoca dei fatti.Ā Allora ti rendi conto che questo male colpisce innocenti, mentre tu finisci per dare di piĆ¹ a che non cāĆØ piĆ¹ invece che a chi cāĆØ. A questo punto ti nasce dentro un salutare vitale meraviglioso basta! Voi lo chiamate molto romanticamente perdono, io lo chiamo basta”.
E che ha voluto dire questo āBasta!ā concretamente?
“Basta significa che quello che ĆØ avvenuto nessuno lo puĆ² cambiare, per me ci sarĆ sempre, ma io non voglio che abbia conseguenze su di me e sulla vita di quelli che amo. Questo basta ĆØ una porta che si apre su quello che cāĆØ fuori. Puoi guardare e finalmente hai tutta la la possibilitĆ di vedere, perchĆ© purtroppo tutti questi sentimenti hanno portato a una cecitĆ assoluta.Ā Allora vedi che fuori cāĆØ un mondo, e che forse cāĆØ anche qualcuno che ti puĆ² aiutareĀ se sei fortunata come lo sono io. Da questa porta ĆØ comparso magicamente padre Guido Bertagna, a raccontarmi che con un gruppo di persone, aveva organizzato degli incontri tra vittime del terrorismo e delle stragi e persone che avevano partecipato alla lotta armata. Questo gruppo dava la possibilitĆ alle personeĀ che lo desideravano pur temendo lo di incontrarsi e di parlarsi. Mi ha chiesto se ne volevo fare parte io naturalmente gli ho detto di no, perchĆ© erauna rottura di solidarietĆ con i miei colleghi vittime, perchĆ© mi obbligava ad andare oltre me stesso, a buttare via tutta questa monnezza del passato. Una prospettiva faticosa, molto faticosa, e io temevo le reazioni anche della mia famiglia”.
Come il no ĆØ diventato sƬ?
“Guido ha una caratteristica che lo accomuna mio padre: quando farti fare qualcosa non ti prende mai di petto, ĆØ un poā una goccia che scava la pietraĀ E come mio padre anche se in maniera piĆ¹ garbata guida mollata. E io ho accettato di partecipare a una riunione di sole vittime (i cattivacci no) e li ho trovato delle persone che pur avendo i miei stessi problemi, avevano accettato di guardare le cose da un altro punto di vista”.
Il primo incontro con un ex terrorista?
“Franco ĆØ la prima persona di 'loro'Ā che ho incontrato. Eā venuto a trovarmi a casa mia a RomaĀ e si ĆØ presentato con una pianta, una cosa viva, una cosa fiorita.Ā Io come potete immaginare ero sulle mie.Ā Quello che piĆ¹ mi ha colpito di lui, oltre alla gentilezza di venire a casa mia portando vita, ĆØ che quando gli ho chiesto 'ma tu che fai adesso, come ĆØ andata la tua vita dopo, chi sei, che vuoi?' Mi haĀ raccontato che quando lui era in carcere chiedeva dei permessi per andare a parlare con gli insegnanti di suo figlio. A Roma se trovi un padre a scuola ai colloqui vuol dire che il bambino ĆØ orfano di madre. Che questo chiedesse dei permessi per andare a mettere il capo sotto la mannaia dei professori ha sconvolto tutte le mie idee su di lui, questo qui ĆØ un essere umano, anche speciale, con tanto amore per un figlio da andare a parlare con i professori. LƬ il mio mondo ĆØ cambiato, ho accettato di entrare in questo gruppo. Un gruppo che ci ha accompagnati per anni, a cui devo una gratitudine grande, queste persone ci hanno dedicato tante energie. Ho imparato da loro una cosa che neppure pensavo esistesse, quella che Guido chiama lāequiprossimitĆ : loro non hanno fatto il tifo per nessunoĀ e hanno fatto il tifo per tutti, hanno fatto il tifo per il fatto che ce la potessimo fare costruire qualche cosa di queste nostre vite devastate E noi ce lāabbiamo fatta”.Ā
Tratto da SempreĀ