L’Unione europea studia come superare l’emergenza coronavirus e proprio oggi, giornata in cui dovrà dare delle risposte, il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente dei vescovi europei, parla nell’intervista di Serena Sartini per ‘Il Giornale’. “Nell’attuale crisi economica planetaria – afferma il porporato – le misure auspicate sono possibili e necessarie. E per l’Italia penso che non sia da perdere nessun intervento”.
Che ruolo deve giocare l’Europa?
“Spero che mentre la guerra divide, la pandemia unisca: se si perde questo momento, sarà un disonore per tutti e una sconfitta per la comunità umana. L’Europa Unita è la strada necessaria per il Continente e un equilibrio per il mondo. Il virus può attizzare gli individualismi, oppure può aggredire salutarmente l’egoismo che ci portiamo dentro, e che inquina anche le cose più giuste e i sogni più belli. La situazione odierna, a differenza di altre sfide, smaschera le vere intenzioni e mette a nudo la verità. Bisogna affrontare insieme questa lotta e mettersi in gioco: gli egoismi si possono nascondere anche nelle leggi e nella loro applicazione. Ma si possono correggere. Dopo la sconsiderata reazione iniziale, sembra che l’atteggiamento dell’Unione si stia modificando: se si vuole camminare insieme, come è necessario, bisogna deporre le armi del pregiudizio a prescindere, sapendo che tutti abbiamo degli esami di coscienza da fare. Può essere l’occasione per rinascere come Comunità di Popoli”.
“L’Europa deve essere ciò che i Padri avevano pensato: Comunità di Popoli, Famiglia di Nazioni. I due concetti – comunità e famiglia – sono simili e, rispetto a Unione, sono più profondi e leggeri. La risposta che si attende riflette questo ideale, che deve crescere nelle coscienze dei cittadini europei e degli Stati membri. Nell’attuale crisi economica planetaria, le misure auspicate sono possibili e necessarie, e per l’Italia penso che qualunque intervento sia da non perdere: pacta sunt servanda. Non credo che domani si possano cambiare le carte in tavola di oggi: sarebbe un suicidio. Dispiace vedere che, nel trattare le questioni, non si senta quella fiducia reciproca che è indispensabile per procedere nel segno di una solidarietà pronta, concreta e sincera da parte di tutti. Il pregiudizio e la mancanza di fiducia alimentano la divisione, e ciò va nella direzione opposta ad una storia che fin dall’origine ha un’anima comune, che bisogna riconoscere e alimentare con convinzione e speranza: l’Italia è uno dei Paesi fondatori”.
Che tempo sta vivendo la Diocesi di Genova?
“Genova vive la grave emergenza con responsabilità e fiducia, mettendo in campo la fantasia del bene che chiede generosità, coraggio e saggezza. La fede, come sempre, nutre l’energia morale di tanti che sono aggrediti dal morbo beffardo, di quanti si dedicano ai malati con ammirevole abnegazione, di tutti che resistono con sacrificio. Anche a Genova, con il nostro stile un po’ schivo, ha preso visibilità non solo il ‘darsi da fare’, ma un senso di unità che in condizioni normali non appare, anche se radicato”.
Che preoccupazioni ha per il post-pandemia?
“Il virus è anche una pandemia economica. Genova è una città di commercio e di industria manifatturiera. Nei decenni è cresciuto anche il turismo: potrei dire che finalmente Genova è stata scoperta, forse è meglio dire che la Città si è lasciata scoprire nella sua bellezza. Ma tutto è in bilico e le preoccupazioni sono molte. Come una macchina, dopo un tempo di stasi, ha bisogno di revisione per ripartire, così per la ricostruzione lavorativa è necessaria una mole di finanzia pubblica. I flussi non sono degli aiuti benevoli, ma degli investimenti del Paese: quando è in gioco l’occupazione di milioni di persone e delle loro famiglie, è chiaro che è in gioco la Nazione. Sono convinto che, se i responsabili intervengono subito e in misura massiccia, la macchina ripartirà senza vittime”.
Eminenza, quando ci saranno nuovamente le celebrazioni aperte ai fedeli?
“La Cei ha una costante interlocuzione con le autorità civili nel riconoscimento e nel rispetto concordatario tra Stato e Chiesa. Le chiese non sono mai state chiuse, e i singoli hanno sempre accesso per la preghiera personale, fatto salvo il distanziamento sociale. Questo ‘digiuno liturgico’ è motivo di sofferenza per i fedeli e per noi sacerdoti. È chiaro che il desiderio di poter tornare alla normalità celebrativa è crescente in tutti noi. Spero che questo forzato distacco segni una consapevolezza nuova verso la messa: non è qualcosa di scontato a disposizione di gusti ed esigenze personali, ma una grazia che merita gratitudine e sacrificio, come accade in terre di missione o di persecuzione”.