E’ iniziata ufficialmente nella notte tra il 25 e il 26 marzo la guerra nello Yemen, ma la crisi politico economica del Paese ha radici ben più lontane. Unificato solo nel 1990 è tra i paesi più poveri del Medio Oriente, segnata per anni dal desiderio di creare uno Stato federale si ritrova nel 2015 ad affrontare un vuoto istituzionale che l’ha resa terra contesa tra i due Paesi più potenti del mediterraneo: Iran e Arabia Saudita.
Negli ultimi giorni la coalizione araba ha dato il via ad una raffica di bombardamenti per scoraggiare l’avanzata dei ribelli sciiti appoggiati dal governo di Teheran. Gli Houthi però non si sono arresi e hanno conquistato dopo la capitale Sana’a, anche la città meridionale di Aden con l’assalto al palazzo presidenziale dove fino a poche settimane fa era rifugiato Abd Rabbih Mansur Hadi. Il risultato dopo una settimana di violenti scontri è quello di un drastico bilancio delle vittime.
Valerie Amos, la responsabile Onu per gli Affari Umanitari, ha denunciato le conseguenze della guerra nel Paese mediorientale: in soli 15 giorni sono rimaste uccise 519 persone tra le quali almeno 90 i bambini. Il numero dei feriti è di circa 1700 persone ai quali si aggiungono le decine di migliaia di sfollati e rifugiati nei Paesi vicini. Amos esprime la sua preoccupazione per i civili rimasti nello Yemen e chiede a tutte le parti in causa di fare il possibile per per “proteggere donne, bambini e uomini che soffrono per le conseguenze del conflitto” e ricorda che prima della recente escalation di violenze, il popolo yemenita viveva già in condizioni di estrema vulnerabilità a causa dei conflitti interni e della povertà.