Nello Yemen la violenza ha molti volti. Una attivista yemenita impegnata in una campagna per l’emancipazione femminile è stata assassinata a colpi di pistola in una strada della città di Taiz, nel Sud dello paese arabo. La vittima, Amat al-Aleem al-Asbahi, aveva circa trent’anni ed era impegnata in un progetto per favorire l’alfabetizzazione femminile. La giovane donna è stata uccisa, ha riportato ieri l’Independent online, il 25 dicembre da due motociclisti che sono poi riusciti a dileguarsi indisturbati tra la folla.
L’assassinio non è stato in alcun modo rivendicato. Molti esponenti e leader yemeniti hanno espresso pubblicamente la loro condanna all’assassinio. Ma, indipendentemente dai proclami, la situazione delle donne in Yemen rimane tra le più difficili del mondo. Nel settembre scorso una fatwa aveva vietato alle attiviste di sesso femminile di collaborare con i loro colleghi uomini. Il parere, diffuso dal Mufti (religioso islamico) Abdullah al-Odaini aveva reso la vita delle attiviste come Asbashi e delle sue colleghe molto più complicata. Il loro lavoro a favore dell’emancipazione culturale delle giovani donne non piace ai fondamentalisti che tentano di ostacolare l’alfabetizzazione delle bambine, non solo in Yemen.
In Medio Oriente, infatti, secondo una ricerca svolta dal governo di Riad nel 2015, circa il 42% di ragazze di età superiore ai 15 anni è analfabeta. Una statistica impressionante se rapportata su scala internazionale, dove lo stesso campione ha un tasso del 12%. Ancora peggio va in quelle nazioni colpite da conflitti interni o internazionali: è il caso dell’Iraq e – appunto – dello Yemen i quali, secondo le statistiche, hanno un tasso di analfabetismo rispettivamente del 77% e del 75%. Praticamente, tre ragazze su quattro non sanno né leggere né scrivere. Da qui l’importanza del lavoro di volontari e attivisti a favore dell’acculturazione delle donne, spesso osteggiato da famiglie, governatori e leader religiosi fondamentalisti.
La storia di Amat ricorda da vicino un caso simile avvenuto in Pakistan, fortunatamente a lieto fine. Nel 2012 Malala Yousafzai – Premio Nobel per la pace per il suo impegno per il diritto all’istruzione delle donne pakistane – venne gravemente colpita alla testa da uomini armati saliti a bordo del pullman scolastico su cui lei tornava a casa da scuola. In quella occasione, l’attentato venne rivendicato da Ihsanullah Ihsan, portavoce dei talebani pakistani, sostenendo che la ragazza è “il simbolo degli infedeli e dell’oscenità”.