Tre dimissioni dal governo in poco più di un mese e un rimpasto che tarda ad arrivare. Se in Italia l'autunno è caldo, in Francia è addirittura bollente. Il terremoto politico si associa alle proteste di piazza contro le riforme annunciate dall'Eliseo. Nel mezzo lo scandalo legato ad Alexandre Benalla, il responsabile della sicurezza di Emmanuel Macron accusato di aver picchiato alcuni manifestanti lo scorso maggio. Risultato? Un generale calo del consenso popolare nei confronti del presidente francese. A oltre un anno dalla sua elezione è allora lecito chiedersi se la parabola del leader di En Marche, faro di un europeismo ormai in affanno, sia già entrata in una fase discendente. Lo abbiamo chiesto a Massimo Nava, giornalista, saggista e scrittore, nonché editorialista da Parigi per il Corriere della Sera.
Prima le dimissioni di Hulot, poi quelle di Flessel e Collomb. Possiamo parlare di crisi per Macron o è ancora presto?
“Si può parlare di crisi. Il problema è capire di che tipo sia e quali possano essere le conseguenze. Non è istituzionale né strettamente politica, perché il sistema francese sostanzialmente lo esclude, e non è una crisi di numeri, visto che la maggioranza del presidente resta solida”.
Qual è la sua natura allora?
“E' una crisi di consenso, di funzionamento del sistema ma soprattutto di immagine. Si è partiti da un presidente accolto con entusiasmo, ampiamente sostenuto a livello popolare, da una figura carismatica in grado di esercitare una certa influenza in Europa e ci si ritrova con un capo di Stato in forte calo, che senza la spinta propulsiva iniziale tende a ingolfarsi. Consentimi, però, di fare una precisazione…”
Prego…
“Queste dimissioni hanno un sapore e motivazioni diverse, in particolare la prima e l'ultima. Quelle di Hulot, ministro dell'Ecologia, sono più di tipo ideologico: ha lasciato perché alcune misure adottate, specie in ambito economico, andavano in una direzione diversa rispetto al suo progetto di sviluppo sostenibile. Le motivazioni della scelta di Collomb vanno invece ricercate nel caso Benalla. Vicenda nella quale Collomb, in qualità di titolare degli Interni, ha finito col diventare il capro espiatorio. A ciò si aggiunge il fisiologico logorio di chi occupa questa posizione nella Francia di oggi, tra emergenza terrorismo, immigrazione e criminalità. Probabile che, vista anche l'età, abbia preferito sfilarsi per tornare a occuparsi del feudo lionese, traendone maggiore giovamento”.
Hai parlato di consenso: scioperi e manifestazioni contro le riforme annunciate dall'Eliseo sono quasi all'ordine del giorno. Macron, alla fine, ha dovuto rivedere i suoi piani…
“Un presidente indebolito è più attaccabile, di conseguenza una serie di istanze sopite sono riemerse con forza. Macron, per questo, è stato costretto a rinunciare o ad accantonare alcuni importanti provvedimenti. Penso alla riforma della Costituzione, a quella delle pensioni, a quella del fisco con prelievo all'origine, una cosa assolutamente sconosciuta in Francia”.
L'europeismo spinto di Macron, nel momento storico attuale e in una Francia in cui Marine Le Pen è ancora piuttosto forte, non rischia di trasformarsi in un boomerang per l'Eliseo?
“Lo scenario del 2017 proponeva una Merkel ancora in sella in Germania, un leader come Macron in grande ascesa in Francia e un Renzi che in Italia veniva dal 40% delle ultime Europee. C'erano i presupposti per pensare di poter affrontare i populismi con un rilancio dell'Ue. Oggi che i rapporti si sono invertiti e il sovranismo ha una forte spinta, quella scommessa iniziale si sta rivelando un azzardo. Macron, in ogni caso, resta sulle sue posizioni: è convinto che il futuro della Francia e degli altri Paesi passi attraverso un'Europa più solidale e protettrice e da un rapporto stretto con Berlino e Roma. Attualmente tutto questo, però, non è possibile e la situazione si fa più complicata”.
A livello internazionale Macron difende l'accordo sul clima di Parigi e l'intesa sul nucleare, lancia sfide a sovranismo e protezionismo. Nello stesso tempo, però, è anche quello che bombarda unilateralmente la Siria, brucia l'Italia sulla Libia e sostiene Haftar, muovendosi al di fuori del quadro Onu…
“Esistono contraddizioni, è vero, ma questo avviene dovunque nel momento in cui le strategie generali non collimano con quelle nazionali. Sulla Libia Macron pur avendo riconosciuto l'errore politico rappresentato dall'intervento militare del 2011 e dall'uccisione di Gheddafi, continua ad avere mire molto forti e il suo sostegno ad Haftar non marcia in sintonia con gli interessi italiani”.
L'ultima assemblea generale dell'Onu è stata caratterizzata, fra le altre cose, dall'ennesimo duello con Trump. E' un periodo difficile sull'asse Parigi-Washington…
“E pensare che all'inizio ci fu un tentativo di avvicinamento: Trump è stato il primo capo di Stato a essere invitato a Parigi da Macron. Il presidente francese ha avuto l'ambizione o la presunzione di provare a mantenere gli Stati Uniti all'interno dell'accordo sul Clima e a dissuaderli da azioni unilaterali in ambito commerciale e doganale”.
Le presidenziali del 2022 sono un orizzonte lontano. Repubblicani e socialisti stanno avviando un difficile percorso di ricostruzione per poter lanciare la sfida a En Marche. Come procede?
“In casa repubblicana regna un po' di confusione e le ferite sono ancora aperte. C'è, tuttavia, un tentativo piuttosto marcato di ritrovare le basi solide di una tradizione sia europeista che conservatrice. In particolare ci si è resi conto che la competizione con Marine Le Pen è abbastanza forte, specie su fermezza, sicurezza e immigrazione. Resta, però, una parte di di repubblicani che continua a guardare a En Marche, come dimostrano i numerosi cambi di casacca. A sinistra la situazione è sicuramente peggiore: nessuno sembra in grado di ricostruire un minimo di progetto politico e di immagine. Il partito socialista, nello specifico, subisce l'erosione nazional popolare di Melenchon.
Quindi Macron è, tutto sommato, in una botte di ferro al momento…
“In politica i vasi comunicanti funzionano come nella chimica. Nel momento in cui Macron ha una forte carica attrattiva pesca sia a destra che a sinistra. Quando, invece, si presenta, come avvenuto negli ultimi mesi, come un leader più vicino all'industria, alle finanze e alle banche che alla solidarietà perde consenso a sinistra. Allo stesso modo ne perderebbe a destra nel momento in cui dovesse guardare più al sociale. La strada, in ogni caso, è ancora lunga; un primo step decisivo sarà rappresentato dalle prossime elezioni europee. Un'eventuale disfatta dei partiti centristi, popolari e socialdemocratici potrebbe avere un certo peso”.
La scorsa primavera il congresso del Front National ha sancito il cambio di nomenclatura in Rassemblement National. Mossa che ha seguito il taglio definitivo dei ponti col fondatore Jean Marie Le Pen. Marine ha completato la “Fiuggi” della destra francese o si tratta solo di un restyling di facciata?
“La riqualificazione programmatica del Front National è in corso da tempo e probabilmente continuerà. Nello stesso tempo la trasformazione e l'ascesa della Lega di Salvini in Italia impone a Marine Le Pen di insistere sulla linea riguardante immigrazione, sicurezza e antieuropeismo. Andrà avanti, invece, il processo di svecchiamento delle strutture e di ripulitura ideologica. Il Fn ha ormai smesso da anni quelle coloriture nostalgiche, pseudo-fasciste o dichiaratamente xenofobe, tipiche degli anni in cui era ancora attivo nel partito Jean Marie Le Pen”.