Nicolas Maduro ha annunciato di aver attivato il Consiglio di Difesa Nazionale per rispondere alla “minaccia imperiale” rappresentata dalle recenti dichiarazioni di Donald Trump. In una serie di messaggi su Twitter, il presidente del Venezuela ha detto che la sua risposta “sarà molto ferma nella sua difesa del patrimonio anticolonialista ed antimperialista della nostra patria”, sottolineando che “nessun governo straniero da ordini alla nostra patria, qui comandano solo i venezuelani”. Trump aveva definito Maduro “un pessimo leader, che sogna di diventare un dittatore“, evocando la possibilità di “decise misure economiche” contro il Venezuela.
Maduro ha anche ipotizzato che dietro l’uccisione di una 60enne durante il “referendum simbolico” realizzato domenica scorsa dall’opposizione ci possa essere “la mano dell’ambasciata americana” a Caracas, che vuole creare “falsi massacri” nel Paese. La vittima, Xiomar Scott, è morta dopo essere stata raggiunta da uno sparo di arma da fuoco quando un gruppo di “colectivos” -gruppi civili armati del chavismo- ha attaccato i cittadini che facevano la fila per votare nel referendum in una chiesa del quartiere popolare di Catia. Maduro ha osservato che il comunicato diffuso dal Dipartimento di Stato americano si riferiva alle “vittime di Catia”. “Cosa vuol dire questo? Fino a che punto c’entra la mano dell’ambasciata americana con il massacro che hanno voluto perpetrare a Catia, e che è stato sventato dal nostro popolo e le nostre forze di sicurezza? Fino a dove si estende la cospirazione?”, si è chiesto il presidente venezuelano. Maduro ha assicurato che i responsabili dell’attacco sono già stati identificati e saranno “catturati a breve”.
Il Consiglio di Difesa comprende i responsabili di ognuno dei poteri dello Stato, ma siccome il Tribunale Supremo ha dichiarato illegittimo il Parlamento -da quando è in mano all’opposizione- quello legislativo non è invitato ai suoi lavori. L’ultima volta che Maduro lo ha convocato è stata lo scorso 31 marzo, dopo che la Procuratrice Generale, Luisa Ortega Diaz, aveva respinto le sentenze del Tribunale Supremo attraverso le quali l’alta corte si attribuiva i poteri del legislatore e sospendeva l’immunità parlamentare. Le sentenze furono ritirate, ma quella riunione segnò l’inizio della rottura fra Ortega Diaz e Maduro, e anche dell’ondata di proteste che, tre mesi dopo, hanno lasciato un bilancio di quasi 100 morti.
Intanto, secondo i media sudamericani, il governo argentino starebbe lavorando, insieme a quelli di Messico e Colombia, per cercare di trovare una soluzione alla situazione in Venezuela, che potrebbe perfino prevedere un salvocondotto per il presidente Nicolas Maduro se accettasse di dimettersi dal suo incarico. Il quotidiano argentino Clarin ha, però, precisato che al momento solo il presidente colombiano, Juan Manuel Santos, ha ancora un canale aperto di comunicazione con Maduro. Queste rivelazioni si combinano con quelle del Financial Times, secondo il quale Santos, in visita ufficiale a Cuba, avrebbe discusso con Raul Castro possibili scenari per risolvere la crisi a Caracas, acuita dall’avvicinarsi della data delle elezioni per la Costituente convocata dal governo, il prossimo 30 luglio. Il governo colombiano non ha confermato ufficialmente che la situazione in Venezuela faccia parte dell’agenda per gli incontri bilaterali all’Avana. Il giornale argentino sottolinea che un precedente tentativo di mediazione al quale ha collaborato il governo di Mauricio Macri, in collaborazione con il Canada e la Santa Sede, è fallito perché Maduro “non ha mantenuto i suoi impegni”, mentre “la polarizzazione nel Paese rende impossibile qualsiasi consenso”.