L’incontro ufficiale di Helsinki tra Donald Trump e Vladimir Putin è solo l’ultimo tassello di una storia fatta di relazioni bilaterali complicate tra le due potenze che negli ultimi 80 anni hanno segnato inesorabilmente i destini del mondo, dettando i tempi e scandendo i ritmi delle varie fasi storiche, politiche ed economiche che hanno determinato l’odierna configurazione delle carte geografiche.
Superpotenze
Parliamo, ovviamente, della Russia e degli Stati Uniti, le superpotenze che, fino ad oggi dal secolo scorso, incarnano nell’immaginario comune (fortemente edulcorato dai mass media) le più significative divergenze in materia economica, sociale, ideologica e militare. Nonostante non manchino, infatti, numerosi punti di convergenza, le relazioni bilaterali tra Mosca e Washington sono sempre state contraddistinte da tensione, una contrapposizione in un certo senso necessaria per mantenere inalterato il fragile equilibrio in base al quale si regge l’intero impianto della politica internazionale.
Fronti opposti
Il faccia a faccia di Helsinki avviene proprio in una fase in cui le relazioni russo-americane sono temporaneamente in stallo, senz’altro lontane dalle tensioni e dalle provocazioni dell’era Obama-Clinton, ma neanche così positivamente rilanciate come molti analisti prevedevano il giorno dopo l’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca. Nonostante i punti di convergenza contingenti, una analisi sommaria dei momenti storici e i rendez-vous che più hanno inciso sulla “linea calda” Washington-Mosca ci mostra che le due forze sono essenzialmente “fatte” per difendere interessi strategici opposti: da questo punto di vista, il tutto è riassumibile nella famosa contrapposizione terra-mare che, secondo eminenti studiosi del XX secolo come McKinder e Spykman, regola la battaglia per la conquista del potere sul globo. Alla potenza “tellurocratica” incarnata dalla Russia e dai suoi spazi immensi vi si oppone quella “talassocratica” degli Stati Uniti, padroni dei mari. Al di là dei postulati geopolitici, la storia dei rapporti Usa-Urss, prima, ed Usa-Russia, poi, è stata spesso anche inficiata dalle relazioni personali e dagli episodi, nonché foriera di simpatiche curiosità.
Inizio promettente
Ad esempio, in pochi sanno che la cessione dei territori dell’Alaska (nell’affare conosciuto come Alaska Purchase, in russo Prodaža Aljaski) da parte dell’Impero Russo, avvenuta nel 1867 per la cifra ammontante a 7,2 milioni di dollari, venne attuata al fine di saldare i rapporti tra la Russia e gli Stati Uniti per contrastare le mire britanniche nel Mare Artico e nell’Oceano Pacifico. Nessuno, all’epoca, avrebbe mai potuto presagire quella che poi sarebbe stato lo scontro ideologico e politico che avrebbe segnato tutto il XX secolo, fattosi sempre più acceso dopo la Rivoluzione d’Ottobre e, soprattutto, dopo la Seconda Guerra Mondiale. Sono ancora facilmente reperibili, infatti, le immagini dello sbarco dei Marines americani a Vladivostok nel 1917 a supporto delle truppe zariste nella guerra civile contro i bolscevichi. Nonostante la caduta dell’Impero Russo e la nascita dell’Urss, Mosca e Washington si ritrovarono alleate nel combattere la minaccia nazista, ultimo episodio di sforzo militare congiunto tra le due potenze almeno fino al sorgere del nuovo secolo.
Guerra fredda
Dopo la famosa conferenza di Jalta del ‘45 (tramite la quale Stalin, Churchill e Roosevelt “spartirono” il mondo), la “Guerra Fredda” ebbe inizio e con lei una girandola di tensioni, distensioni, schermaglie mediatiche, storie di spionaggio e contro-spionaggio, conflitti a bassa intensità in campo neutro, incontri e visite dei capi di Stato in entrambi i Paesi. Memorabile fu la prima visita di Nikita Chruščëv negli Usa avvenuta nel 1959, nella quale il Segretario del Pcus visitò le più grandi città americane, provò il suo primo hot-dog, fece più volte arrossire il sindaco di Los Angeles rispondendo picche alle sue provocazioni, espresse il desiderio di visitare il parco giochi Disneyland e tentò di stemperare gli animi parlando per la prima volta di disarmo nucleare e stop alla corsa agli armamenti. Purtroppo, l’abbattimento dell’aereo spia americano U-2 pilotato dall’agente CIA Gary Powers nello spazio aereo sovietico avvenuto nel 1961 alzò nuovamente la temperatura. Nel 1974 il Presidente americano Gerald Ford si recò in visita a Vladivostok, invitato dal Segretario del Pcus Leonid Brežnev per la firma di un importante accordo per il controllo della proliferazione nucleare e della disposizione delle basi strategiche di lancio.
Disgelo
Nella seconda metà degli anni ’80, il volto nuovo di Michail Gorbačëv si affacciò ai vertici del Cremlino, innescando quei processi economico-sociali (conosciuti come glaznost e perestrojka) che avrebbero portato, nel 1991, alla distensione della “Guerra Fredda” e alla successiva dissoluzione dell’Unione Sovietica. Emblematici gli incontri avvenuti in quel periodo con il Presidente americano Ronald Reagan: quattro in tutto tra il 1985 ed il 1988, il primo a Ginevra, poi a Rejkjavik, poi Washington ed infine Mosca. La fase di distensione prosegue sotto la guida di George Bush Senior, incontratosi su una nave al largo dell’isola di Malta con Gorbačëv, evento che segnò di fatto la fine delle ostilità. Proprio quest’ultimo incontro è da sempre fonte di forti speculazioni, dal momento che in quella sede Gorbačëv avrebbe strappato a Bush la promessa (in ogni caso mai ratificata, ma nemmeno mantenuta) di non espansione delle strutture militari Nato nei Paesi satelliti dell’Urss successivamente alla dissoluzione di quest’ultima.
Gli anni 90
L’indipendenza delle repubbliche ex-sovietiche e la fine dell’assolutismo del partito unico non hanno contribuito ad un rapporto sereno di lungo periodo, nonostante le pesantissime difficoltà economiche che avevano ridimensionato notevolmente il peso internazionale della Russia nel mondo. Il discusso intervento americano alla Jugoslavia di Milošević avvenuto nel 1999 per via del conflitto in Kosovo segnò un nuovo periodo di tensione, ufficialmente aperto da un gesto che ancora tutt’oggi rimane emblematico nella memoria di molti diplomatici russi: arrivata improvvisamente la notizia del bombardamento su Belgrado, l’allora ministro degli esteri russo Evgenij Primakov (in quel momento in volo verso gli Usa per un summit), decise di sua volontà, in barba ai tentennamenti di un ormai sfiduciato Boris Eltsin, di fare dietro front per protestare contro l’aggressione americana.
Nuove tensioni
L’avvento di Vladimir Putin al Cremlino ha dato inizio al ripristino delle ambizioni russe nella politica internazionale. I rapporti con i Presidenti Usa da lui intrattenuti, dunque, sono stati molto influenzati dalle contingenze politiche e dai rapporti personali. Incontratosi per la prima volta con George Bush Jr. in Slovenia nel 2001, il presidente Usa, colpito dalle qualità umane ed intellettuali del presidente russo, avrebbe affermato di essere stato capace di “sfiorare la sua anima”. Lo spirito del summit di Pratica di Mare del 2003 pervade l’inizio del nuovo millennio: Russia e America insieme in Iraq contro il terrorismo, con un Silvio Berlusconi sorridente a “costringere” i due leader a stringersi la mano in uno scatto che rimarrà nell’immaginario comune. La crisi georgiana del 2008, però, cominciò a rivelare tutta la caducità del nuovo corso: Barack Obama e Dmitrij Medvedev tentarono informalmente di “resettare” i rapporti Usa-Russia nel 2010 davanti ad un cheeseburger in un fast-food di Washington (offrendo ai giornalisti un altro scatto memorabile), ma il ritorno di Putin, la crisi ucraina e la riunificazione della Crimea del 2014 già segnano l’inizio di una nuova fase di altissima tensione. L’inizio dell’era Trump oppone ad una figura forte come quella di Putin tutta l’eccentricità di un Presidente Usa davvero imprevedibile e dal carattere fortemente istintivo. Rimane da capire in che misura il buon rapporto personale che potrebbe instaurarsi tra i due potrà mitigare quello che sembra essere uno scontro destinato a dettare ancora per molto i ritmi futuri della politica mondiale.