Alla fine Trump, dopo giorni di negazioni, ha dovuto ammettere l’evidenza: l’attacco hacker da parte della Russia per screditare Hillary Clinton e portare alla Casa Bianca Donald Trump c’è stato. E a ordinarlo, è stato Vladimir Putin in persona. Lo rivela il dossier stilato dall’Intelligence americana consegnato ieri al presidente eletto con le informazioni raccolte in mesi di indagini sul coinvolgimento del Cremlino nelle elezioni americane.
Nel documento si legge che Putin abbia “ordinato personalmente una campagna nel 2016 con lo scopo di influenzare le elezioni presidenziali” americane, nel tentativo “di denigrare” Hillary Clinton con “una chiara preferenza nei confronti di Donald Trump”. Nello specifico, il presidente russo avrebbe dato il via libera ad una azione su più fronti: da azioni di cyberspionaggio ad attacchi hacker contro la Clinton e gli oppositori della Russia su internet.
L’inchiesta è stata ordinata dal presidente Usa Barack Obama che giovedì in anteprima aveva letto le conclusioni. Del rapporto definitivo è stata resa nota al pubblico solo una versione di 14 pagine, nella quale si legge che la campagna hacker del Cremlino puntava inizialmente solo a minare la fede del pubblico nel processo democratico, a “denigrare” la candidata dem e a danneggiare, così, la sua futura presidenza. Solo successivamente, si legge nel report messo a punto da Cia, Fbi e dal Direttore della National Intelligence, la Russia avrebbe “sviluppato una chiara preferenza per il presidente eletto Trump”.
Le tre agenzie hanno concluso che i servizi russi di intelligence sono penetrati in numerosi sistemi informatici legati ai partiti politici americani e hanno trasmesso le email trafugate a Wikileaks. Tuttavia, non c’è alcuna prova per dire che Mosca sia riuscita anche a entrare e compromettere il conteggio dei voti lo scorso 8 novembre.
Nonostante i molteplici sforzi, i russi erano comunque convinti che sarebbe stata la Clinton a vincere le elezioni e già si preparavano a minarne la legittimità dopo la vittoria. Secondo il rapporto, infatti, “i blogger pro Cremlino avevano già preparato una campagna su Twitter #DemocracyRip” (democrazia riposa in pace) da diffondere dopo le elezioni; campagna prontamente cestinata quando – a sorpresa di tutti, Russia compresa – la vittoria è andata a Trump.
“L’esito delle elezioni non è stato modificato”, ha spiegato Trump messo al muro dinanzi ai risultati incontrovertibili del rapporto dell’Intelligence. A due settimane dal suo insediamento che lo “incoronerà” 45esimo presidente degli Stati Uniti, il magnate, al New York Times, si scaglia ancora una volta contro i suoi detrattori, accusati di volerne sminuire la vittoria: “E’ una caccia alle streghe politica ordita dai miei avversari contro di me”, ha strepitato.
“Vladimir Putin non è nella nostra squadra”, ha ribattuto il presidente uscente Barack Obama in una intervista all’emittente Abc. “Una delle cose che mi preoccupano è il livello cui siamo arrivati, con repubblicani, opinionisti e commentatori televisivi che sembrano avere più fiducia in Vladimir Putin che in altri americani perchè questi americani sono democratici. Questo non può essere”, ha concluso Obama. Putin dunque è “fuori squadra”, ma forse solo tra i dem.