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Ungheria: bastone dall'Europa, carota da Israele

Èevidente da tempo che il premier ungherese Viktor Orban non ha grandi amici a Bruxelles. Sul tema dei migranti, ma non solo, Budapest è entrata in rotta di collisione con l'Unione europea e lo strappo appare sempre meno ricucibile. Orban però può consolarsi con il sostegno che giunge da parte di Israele, corroborato dal clima affettuoso con cui oggi il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha accolto il primo ministro ungherese a Gerusalemme definendolo “grande amico di Israele”.

Il bastone dell'Europa

Nelle stesse ore dell'incontro bilaterale, tuttavia, nei confronti dell'Ungheria giungeva dalla Commissione Ue un deferimento alla Corte di Giustizia Ue per non aver rispettato la legge su asilo e ricollocamenti dei migranti. Contestualmente veniva avviata all'indirizzo di Budapest una procedura d'infrazione per la cosiddetta legge “Stop Soros”, un pacchetto di interventi per limitare le attività finalizzate a far arrivare immigrati in Ungheria delle ong finanziate dal magnate George Soros: tra questi, un'imposta straordinaria del 25% sulle organizzazioni non governative e limitazioni al loro lavoro con restrizioni in materia di accesso alle zone dove ci sono gli immigrati. Secondo Bruxelles, questo pacchetto di interventi viola “le leggi Ue, la carta dei diritti fondamentali e i Trattati”. Tutt'altro che critica sembra essere, invece, la maggioranza dei cittadini ungheresi, che alle elezioni dell'aprile scorso (quando il partito di maggioranza Fidesz aveva già portato in Parlamento il pacchetto “Stop Soros”) ha rieletto Orban con il 49,5% dei voti. Proprio a pochi giorni dall'apertura delle urne, Orban aveva lanciato una dura invettiva contro Soros, definendolo la “mente occulta” dell'immigrazione di massa, la quale avrebbe l'obiettivo non dichiarato di minare “le basi su cui si fondano le nazioni e l'Europa cristiana”.

La carota di Israele

Soros è un nemico che Orban condivide con Netanyahu. Nell'aprile scorso, in piena crisi di gestione di flussi di migranti provenienti dal Corno d'Africa, Israele aveva dapprima stretto un accordo con il Ruanda che prevedeva il trasferimento nel Paese africano di migliaia di eritrei e sudanesi, ma in un secondo momento il governo ruandese si era tirato indietro. Il premier Netanyahu aveva allora puntato l'indice verso l'organizzazione New Israeli Fund, finanziata da Soros, colpevole a suo dire di aver influenzato il Ruanda a ritirarsi dall'accordo. E ancora, come sottolinea Il Giornale, Soros, “è un convinto sostenitore dell’organizzazione J Street, nata allo scopo di contrastare l’influenza dell’Aipac (American Israel Public Affairs Committee), un gruppo di pressione americano noto per il forte sostegno allo Stato di Israele, considerato il più potente e influente gruppo d’interesse a Washington. Il magnate sostiene e finanzia importanti ong per i diritti umani come Human Rights Watch e Amnesty International – che criticano regolarmente la politica di Tel Aviv”. Non è un caso che in Israele, promossa dal partito di governo Likud, sia stata approvata una legge sulle ong che ricorda molto il pacchetto ungherese “Stop Soros”, in quanto volta a limitare le attività delle ong che ricevono finanziamenti da parte di enti e governi stranieri. L'asse Budapest-Tel Aviv, dunque, è solido e resiste anche alle critiche di alcuni settori del mondo ebraico, furenti nei confronti di Orban per aver inneggiato, un anno fa, a Miklos Horthy, reggente d'Ungheria durante la seconda guerra mondiale, quando moltitudini di ebrei magiari morirono nei campi di concentramento. Nonostante ciò, Netanyahu ha lodato oggi Orban per il suo contributo alla lotta all'antisemitismo e lo ha ringraziato per la posizione filoisraeliana dell'Ungheria.

D'accordo anche su immigrazione e Gerusalemme capitale

Israele e Ungheria si trovano in linea anche sul tema dei migranti. In maniera per molti versi analoga a quanto fatto da Tel Aviv ad aprile, oggi anche Budapest ha stralciato con l'Onu un'intesa su ricollocamenti, accoglienza e strategie comuni per la gestione del fenomeno. L’Ungheria non firmerà il Global Compact for Safe, Orderly and Regular Migration, il patto sulla migrazione approvato il 13 luglio da 193 Stati membri delle Nazioni Unite. Lo ha dichiarato il ministro degli Esteri ungherese, Peter Szijjarto, rilevando che il patto è “di parte e non bilanciato”, in quanto favorisce i Paesi di origine della migrazione” e che “cerca di dipingere la migrazione come qualcosa di buono per definizione e come un diritto umano fondamentale, cosa che non è”. Il “no” all'immigrazione di massa fa il paio con il “sì” a Gerusalemme capitale di Israele, altra questione che vede brillare l'asse Tel Aviv-Budapest. Un gesto eloquente in tal senso: a maggio, in occasione della cerimonia d'apertura dell'ambasciata statunitense a Gerusalemme, tra le poche delegazioni europee presenti c'era anche quella ungherese.

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