Dal Medio Oriente all’Europa, in queste giornate di inizio autunno l’anelito indipendentista dei popoli torna ad innalzarsi nei cieli. Lunedì scorso si è tenuto uno storico referendum sull’indipendenza del Kurdistan, dal quale è emerso che il 92,7% degli elettori sarebbe favorevole a questa prospettiva. Oggi, si recano alle urne i cittadini della Catalogna, per esprimersi sull’indipendenza della loro Regione autonoma dalla Spagna.
Queste spinte alla secessione o alla creazione di un nuovo Stato, suscitano però polemiche. Si scontrano con la fermezza a salvaguardare l’integrità nazionale dei governi centrali, nonché – come nel caso curdo – con degli equilibri geopolitici precari.
In Terris ha intervistato l’Alto Rappresentante del Governo Regionale del Kurdistan in Iraq presso l’ Italia e la Santa Sede, la dott.ssa Rezan Kader. Lei, che fin dagli anni Ottanta si batte per le istanze del popolo curdo, non ha dubbi sulla necessità di rendere la sua terra uno Stato indipendente: “Il referendum è una prova di democrazia e ha dato un esito chiaro”.
Eccellenza, tuttavia Haider al-Abadi, primo ministro dell’Iraq, ha sottolineato che il referendum è incostituzionale e che per avviare un negoziato è necessario annullarlo. Non temete che salga la tensione?
Noi non ce lo auguriamo. Ma sarebbe però opportuno che Baghdad si metta nell’ordine di idee di volersi sedere intorno a un tavolo e dialogare con noi. Invece finora il governo iracheno si è caratterizzato per un linguaggio di minacce nei confronti di un popolo, quello curdo, che sta semplicemente rivendicando i suoi diritti. Speriamo che cambi atteggiamento per poter iniziare il dialogo.
Le due posizioni di partenza per il dialogo sembrano però inconciliabili: voi volete riconosciuta l’aspirazione popolare a un Kurdistan libero, Baghdad ritiene l’esito nullo e la strada dell’indipendenza impraticabile…
Se vogliamo parlare di democrazia, dobbiamo riconoscere la volontà del popolo curdo. Non è vero che il referendum è illegittimo, perché un referendum consultivo non contrasta con la Costituzione dell’Iraq. A Baghdad noi diciamo: meglio essere buoni vicini di casa che fratelli che si odiano.
Anche leader di influenti Paesi stranieri si sono dimostrati contrari al referendum: come si può sperare nell’indipendenza se il contesto geopolitico è sfavorevole?
Mi meraviglio anzitutto dei Paesi democratici storicamente nostri alleati, quelli europei e gli Stati Uniti. Si parla tanto di libertà e diritti dei popoli, ma poi nel caso del Kurdistan si assiste ad un atteggiamento di ostruzionismo. Sarebbe opportuno indagare sui motivi che hanno spinto il 92,7% del popolo curdo a votare per l’indipendenza. Negli ultimi quattro anni, durante la guerra che i nostri peshmerga e i nostri alleati hanno condotto contro l’Isis, il governo autonomo curdo si è fatto carico di quasi due milioni di rifugiati in Kurdistan, senza che il governo dell’Iraq muovesse un dito per aiutarci. Anzi, Baghdad ha persino tagliato i viveri ai peshmerga che stavano sacrificando la loro vita per difendere l’Iraq dalla barbarie. Se non fosse stato per l’aiuto militare degli alleati, il conflitto con l’Isis avrebbe avuto un epilogo diverso.
Avete invece avuto sostegno da parte di Israele…
Il sostegno verbale non è chissà cosa… Certo, è positivo che Israele riconosca il diritto del popolo curdo a fare un referendum. Anche altri Paesi si sono espressi nella stessa direzione: il Canada e la Finlandia.
Dall’Italia avete ricevuto attestati di sostegno da qualche forza politica?
L’Italia e la Santa Sede sono amici storici del popolo curdo, da sempre gli esponenti politici italiani lodano il Kurdistan in quanto oasi di pace e mosaico di etnie e religioni. Finora però non è giunto nessun attestato. Speriamo che presto il governo italiano riconosca la voce del popolo curdo.
I curdi che vivono in Italia hanno potuto votare dal nostro Paese?
Certo, hanno votato per corrispondenza, tra questi anche mio figlio (la dott.ssa Kader era invece in Kurdistan, ndr). L’affluenza è stata alta. E qualche giorno prima in molti hanno partecipato a una manifestazione per l’indipendenza a Torino.
Tra le forze politiche curde c’è unità d’intenti?
Tutti sono a favore dell’indipendenza, comprese le forze politiche che hanno meno peso. Il referendum è stato appoggiato da tutti i partiti e da tutte le etnie e comunità religiose: arabi, turkmeni, cristiani.
In un’eventuale Kurdistan indipendente, sarà prevista un’autonomia amministrativa per le aree di insediamento storico dei cristiani?
Il vanto del Kurdistan è la sua pluralità. I cristiani sono cittadini come tutti gli altri e alcuni di loro sono membri del parlamento del governo autonomo. Molti di loro sono stati accolti in Kurdistan dopo che erano fuggiti dall’Isis. Sicuramente ci sarà un’autonomia amministrativa per la Piana di Ninive, abitata da molti cristiani. Ricordo a tal proposito che la Piana è una terra in parte contesa con il governo di Baghdad e che i suoi abitanti si sono espressi a favore dell’integrazione nello Stato del Kurdistan, qualora venisse proclamato.
Oggi c’è anche il referendum in Catalogna. Esistono affinità tra voi e i catalani?
Il presidente del governo autonomo catalano è stato il primo a fare gli auguri a Masoud Barzani, presidente della regione autonoma del Kurdistan. Si tratta comunque di due questioni diverse: il popolo curdo è da cento anni che vede il proprio territorio occupato. Noi curdi ci siamo battuti per un Iraq libero nel 2003, contro la dittatura di Saddam Hussein, e per dodici anni abbiamo aspettato un atto di riconoscenza da Baghdad che però non è mai arrivato. È ora di ottenere ciò che ci spetta.
Intanto restano aperte anche altre questioni: quante donne yazide sono ancora nelle mani dell’Isis?
Ancora circa milletrecento ragazze sono prigioniere dell’Isis. Anche questa vicenda fa emergere l’inadempienza di Baghdad, perché non ha fatto nulla per loro. Il governo regionale del Kurdistan sta invece battendo ogni strada: prova a “comprarle”, organizza missioni per liberarle. Si tratta di un motivo in più per chiedere l’indipendenza.