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Ucciso in Ucraina un reporter russo. Era vicino a Donetsk

Il presidente ucraino Petro Poroshenko e il leader del Cremlino Vladimir Putin si sono accordati nella telefonata odierna per un “cessate il fuoco” nell’Ucraina orientale; non è ancora la pace, ma è un passo avanti. La notizia arriva proprio nel giorno in cui la tensione sembrava riesplodere dopo la conferma della morte di un reporter russo. Dal 5 agosto infatti non si avevano più notizie di Andrei Stenine, reporter russo. A comunicarlo è Dimitri Kiselev, direttore dell’agenzia “Ria Novosti”.

Il fotografo trentatreenne era in Ucraina dal 13 maggio e in tre mesi di attività aveva realizzato numerosi reportage a Kiev, ma le sue testimonianze venivano anche dai bastioni dei separatisti prorussi dell’est del Paese, A Lugansk, Donetsk e a Mariupol. Un lavoro intenso che non si è fermato difronte ad alcun rischio. I giornalisti hanno pagato, ma, soprattutto, stanno pagando, un pesante contributo al conflitto cercando di afferrare a ogni costo la verità, mettendo in gioco anche la propria vita. Il bollettino delle morti ammonta drammaticamente a 6: oltre a Stenine, sono stati uccisi 3 reporter russi a giugno e un fotografo italiano con il suo assistente russo rinvenuti morti a fine maggio.

“La sua automobile è stata colpita da spari ed è bruciata” – ha precisato Kiselev – “su una strada vicino a Donetsk”, uno dei bastioni dei separatisti prorussi ed epicentro dei combattimenti contro le forze lealiste nell’est dell’Ucraina. Come si può osservare dalle immagini trasmesse dalla televisione russa, la sua vettura è stata attaccata in maniera duplice: prima colpita da una scarica di piombo e poi sfigurata da un incendio.

Nella comunità della stampa russa, la scomparsa di Stenine aveva suscitato una forte mobilitazione attirando l’attenzione di tutti i media e coinvolgendo anche il pubblico. Il suo ritratto campeggiava su quasi tutti i mezzi di informazione, accompagnato dallo slogan «Liberate Andrei». L’impegno per il suo ritrovamento si procedeva da metà agosto. La Russia aveva aperto un’inchiesta sulla sua sparizione. La pista privilegiata, finora, era stata quella del rapimento del giornalista della guardia nazionale ucraina. Non sono bastate le ricerche, non è bastato l’impegno, la dedizione totale dedicata ai tentativi di ritrovamento.  «Purtroppo, mentre stavamo facendo tutto il possibile, e anche l’impossibile, per salvarlo, Andrei già non era più vivo», ha detto, amareggiato, il direttore della Ria Novosti. «Tutte le dichiarazioni che abbiamo sentito da parte degli ucraini sulla sorte di Stenine, erano bugie», ha aggiunto. Un sentimento di totale impotenza ha coinvolto il mondo russo difronte alla triste presa di coscienza del destino di Stenine. Un’altra perdita questa, l’ennesima, di un conflitto che miete le sue vittime senza trovare freno neanche davanti agli occhi di chi è mosso dal solo desiderio di portare al mondo la propria testimonianza, armato unicamente di una macchina fotografica e di un cavalletto. Colpevole Stenine di un singolare peccato: la sete di verità. Il suo ricordo, oggi, si accompagna a quello di tutti i reporter che, ogni giorno, guardano oltre ogni pericolo per mettere a fuoco la realtà.

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