Miftah al Qatrani è il nome del giornalista assassinato questa notte a Bengasi, in Libia. Secondo quanto riferito dai media locali, il cronista era diventato da poco anche editore e più volte aveva subito minacce di morte. Qatrani inoltre era alla guida della società di produzione Al Anouar e forniva video e immagini degli scontri tra esercito e milizie islamiste ai canali televisivi del Paese. Si tratta del primo attacco contro la stampa da quando Khalifa Haftar, generale delle forze armate del governo riconosciuto di Tobruk, ha lanciato una campagna per riprendere il controllo della città portuale di Bengasi. Attualmente, anche se l’azione non è ancora stata rivendicata, si ritiene che dietro questo omicidio possano celarsi le milizie di Ansar al Sharia.
La Libia può dirsi ben lontana dal traguardo che sognavano i ribelli democratici dopo la cacciata di Gheddafi e non si può parlare ancora di libertà di stampa. Sebbene il settore dell’informazione abbia subito un vero cambiamento dal punto di vista di qualità e quantità, non è ancora diffuso un atteggiamento di apertura nell’ambito della comunicazione. Lo scorso maggio Nassib Karnafa, giovane giornalista libica venne rapita nella regione di Sabah e ritrovata dopo alcune settimane con la gola tagliata. Stessa sorte per il reporter Meftah Bouzid, ucciso a Bengasi e noto per le sue posizioni duramente critiche nei confronti dell’estremismo radicale. Da un rapporto dalla Ong statunitense Human Rights Watch, è emerso che da metà 2012 a novembre 2014 si sono verificati almeno 91 casi di minacce e di aggressioni contro giornalisti, 14 dei quali contro donne. Nello stesso periodo ben 30 giornalisti sono stati rapiti e addirittura 8 sono stati uccisi.