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Twal: “Decisione grave, incoraggia l'antisemitismo”

Lo aveva promesso in campagna elettorale. E alla fine lo ha fatto. Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha annunciato che tra sei mesi l’ambasciata degli Stati Uniti in Israele sarà spostata da Tel Aviv, dove attualmente si trova, a Gerusalemme.

La notizia ha avuto l’effetto di una deflagrazione nello scacchiere internazionale. Al plauso delle autorità israeliane stanno facendo da contraltare le ire del mondo arabo. Anni di delicati equilibri che hanno retto a stento in Terra Santa, rischiano di essere vanificati. Così come rischia di interrompersi il pur fragile processo di pace. Nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania si registrano scontri da diverse ore: lo spettro di una nuova Intifada torna ad agitarsi.

Temono ripercussioni anche i cristiani della Terra Santa, già ridotti a una sparuta presenza a causa di guerre e persecuzioni. In Terris ha intervistato Sua Beatitudine Fouad Twal, fino al giugno 2016 Patriarca latino di Gerusalemme.

Come valuta questa decisione?
“Per me è ingiusta, sbagliata, lontana dalla realtà complessiva della Terra Santa e dannosa per tutto il popolo. Sarebbe stato più saggio prendere una decisione di questo tipo soltanto quando ci sarà una situazione finale, con due Stati riconosciuti da tutti, con due capitali. Il nostro timore è che questa decisione sia propizia per i gruppi radicali, sia di parte palestinese sia di parte israeliana. Purtroppo gli Stati Uniti perdono credibilità come mediatori imparziali”.

Qual è la situazione in questo momento?
“C’è tensione. E domani è venerdì, normalmente dopo la preghiera in moschea avvengono le manifestazioni dei musulmani. Hamas intanto ha annunciato una nuova Intifada: questa ipotesi sarebbe devastante per tutti, per i palestinesi, per gli israeliani, per il turismo”.

A chi giova allora la scelta di Trump?
“A Israele e, come ho già detto, ai gruppi radicali di entrambi gli schieramenti. Ma nel lungo periodo Israele non avrà nessun beneficio, anzi. Questa decisione rischia di incoraggiare l’antisemitismo nel mondo arabo. E non vorrei essere cinico, ma va vista anche da un’altra prospettiva…”.

Quale?
“Credo che questa situazione, per quanto drammatica, rappresenti anche un’opportunità. Il mondo arabo è stato negli ultimi tempi disunito, ha lasciato la questione palestinese nel dimenticatoio. Ora c’è l’obbligo a fare l’unità e mettersi d’accordo per proporre una soluzione a questa crisi”.

Negli anni c’è stata una recrudescenza del fondamentalismo islamico tra i palestinesi. Anche questo rappresenta un problema…
“In tutto il mondo il fondamentalismo è cresciuto, non solo tra i palestinesi. Abbiamo visto all’opera in varie aree gruppi come Daesh, al-Qaida, al-Nusra… Sarebbe però opportuno porsi una domanda indiscreta, quando si parla di certi gruppi come Daesh: come mai ne ha paura tutto il mondo, meno Israele? Questo fa pensare…”.

Nel maggio 2014 ci fu la visita di Papa Francesco in Terra Santa, poi nel giugno successivo la preghiera per la pace in Vaticano con Shimon Peres e Abu Mazen. Cos’è cambiato in questo periodo?
“Io accompagnai il Santo Padre in questa visita, lui aveva il grande desiderio di far incontrare a Gerusalemme o a Betlemme Abu Mazen e Peres. Purtroppo però non è stato possibile, allora il Papa, stanco, li ha fatti venire in Vaticano. Fu un incontro bello, romantico, pieno di aspettative. Tuttavia, a parte l’albero che è stato piantato nei Giardini Vaticani, non ci sono stati risultati positivi, anzi. Appena tre giorni dopo il primo ministro israeliano Netanyahu ha annunciato la costruzione di tremila abitazioni di coloni ebrei nei territori palestinesi in Cisgiordania”.

Il gesto della presidenza statunitense potrebbe peggiorare la situazione dei cristiani in Terra Santa?
“La situazione peggiora per tutti, figurarsi per una minoranza così esigua come i cristiani. Essi sono parte integrante della Terra Santa: soffrono con gli altri, ne condividono le aspirazioni, hanno a cuore la patria di Palestina. Quando un cristiano palestinese passa il check point alla frontiera nei territori occupati, non gli viene chiesta la sua confessione religiosa. Il trattamento riservato dai soldati ai palestinesi cristiani o musulmani è lo stesso”.

Come stanno vivendo il periodo d’Avvento i cristiani dopo questa decisione?
“Speriamo che il bel canto degli angeli che recitiamo in questo periodo di attesa possa entrare nei cuori. Le comunità cristiane sono divise, purtroppo. Bisogna pregare tanto e contare sulla preghiera dei nostri fratelli nella fede per alleviare le nostre sofferenze. Mi appoggio alla solidarietà degli italiani, che ci sono sempre stati vicini. Abbiamo paura che questo Natale sarà più calvario che gioia”.

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