Prosegue il giro di vite inferto da Recep Tayyip Erdogan contro la stampa ritenuta “ostile”. L’ultimo a farne le spese è stato Sedat Ergin, che a breve lascerà la direzione di Hurriyet, quotidiano fieramente laico che sta conducendo una battaglia contro la riforma sul presidenzialismo fortemente voluta dal presidente turco e che ad aprile sarà sottoposta a referendum confermativo.
Un tempismo sorprendente, vista la delicatissima fase politica, ma per molti non casuale. Contro il giornale si è scagliato frontalmente proprio Erdogan, definendo “indecente” un articolo su presunti contrasti tra una parte delle forze armate e il governo. A firmarlo, Hande Firat, la giornalista di Cnn Turk – stesso gruppo editoriale di Hurriyet – che secondo molti contribuì a salvare il presidente, trasmettendone il messaggio su FaceTime dal suo smartphone la notte del golpe. Sul caso è già stata aperta un’inchiesta, l’ipotesi investigativa riguarda l’esistenza di una possibile cricca golpista nell’esercito, intenzionata a boicottare l’attuale capo di stato maggiore Hulusi Akar, ritenuto vicino a Erdogan. Hurriyet ha pubblicato una nota di scuse per “l’errore editoriale” e prova a buttare acqua sul fuoco: fonti della redazione parlano di un avvicendamento deciso già da qualche settimana con l’ex direttore di Milliyet, Fikret Bila, possibile fautore di una linea più vicina ai nazionalisti e al governo. A presunta riprova, Ergin resterà come editorialista, senza sbattere la porta. Ma nel periodo chiave della campagna per il referendum, in cui appare decisivo proprio il voto dei nazionalisti, in Turchia pochi dubitano che dietro ci sia lo zampino del presidente.
Dal fallito golpe del 15 luglio, in Turchia la pressione sulla stampa si è fatta sempre più forte. Prima è toccato agli ex di Zaman, il giornale di Fethullah Gulen. Poi, ai reporter filo-curdi di Ozgur Gundem e a quelli laici di Cumhuriyet. Fino al caso Yucel, che adesso travalica i confini, piombando sul tavolo della cancelliera Merkel. Pur con diversi background, i giornalisti arrestati hanno tutti un aspetto in comune: essere sgraditi a Erdogan. In poco più di 6 mesi, Ankara si è ripresa il triste record mondiale di giornalisti in prigione: 155, secondo le ultime stime dell’osservatorio per la libertà di stampa P24. Peggio di chiunque altro, scavalcando Paesi come Cina ed Egitto, calcola il Committee to Protect Journalists. Sulle cifre, il governo di Ankara dà battaglia, sostenendo che molti si dichiarano giornalisti senza avere l’accredito stampa. Che però viene dato dallo stesso esecutivo: dal golpe, ne sono stati cancellati più di 800.