“Noi vogliamo creare la pace tra Israele e i palestinesi e ci arriveremo”. Lo ha detto Donald Trump durante la conferenza stampa seguita all’incontro alla Casa Bianca con Abu Mazen. “C’è una grande, grandissima occasione” ha assicurato.
Il tycoon non ha ricette, salvo ammonire che “non ci potrà essere pace durevole se i dirigenti palestinesi non condannano all’unisono gli appelli alla violenza e all’odio“. Del resto, ha riconosciuto che un accordo di pace “non può essere imposto dagli Usa o da altri Paesi”, proponendosi quindi come “mediatore, arbitro o facilitatore” in un negoziato diretto tra le parti.
I fallimenti del passato non lo spaventano. “Nella mia vita ho sempre sentito che l’accordo più difficile da concludere è probabilmente quello tra israeliani e palestinesi. Vediamo se possiamo smentire questa affermazione”, ha osservato. Il suo ottimismo si è specchiato in quello di Abu Mazen, che ha riconosciuto le “nuove opportunità“, il “nuovo orizzonte” creato dalla determinazione di Trump, condividendo le speranze di un “trattato di pace storico“.
Il leader palestinese però ha voluto mettere i puntini sulle “i”. Ha riconfermato l’adesione alla soluzione dei due Stati con i confini del ’67, che Trump sembrava aver messo in dubbio quando ha ricevuto Netanyahu. Ha ribadito la richiesta ad Israele di mettere fine all’occupazione delle terre palestinesi, che il presidente Usa ha evitato di criticare nuovamente in pubblico. E ha assicurato il suo impegno contro la violenza, sostenendo che i palestinesi crescono i loro figli e nipoti in una cultura di pace.
Nessuna richiesta pubblica invece da parte di Trump di cessare i pagamenti alle famiglie di palestinesi uccisi o imprigionati durante attacchi contro gli israeliani (315 milioni di dollari a 36 mila famiglie, secondo alcune stime), prassi vista da Usa e Israele come una forma di incoraggiamento del terrorismo. Possibile che il tycoon l’abbia fatto in modo privato. Nessun cenno neppure sul ventilato spostamento dell’ambasciata Usa a Gerusalemme, ma se Trump vuole fare da mediatore sarà costretto ad una marcia indietro per non irritare i palestinesi.
Nella gestione dei colloqui di pace avrà voce in capitolo anche Jared Kushner, il genero-consigliere (ebreo ortodosso) cui è stato affidato anche il dossier mediorientale. Sullo sfondo restano i rapporti sempre difficili tra l’autorità palestinese e Hamas (che controlla Gaza), nonché le tensioni legate allo sciopero della fame (oggi al 17/mo giorno) di centinaia di prigionieri in Israele, sostenuti oggi da una imponente manifestazione di solidarietà palestinese.
Ma Abu Mazen si è detto fiducioso anche sulla possibilità che le parti saranno in grado di risolvere il problema dei rifugiati e dei prigionieri. Secondo alcune fonti, Trump potrebbe ricambiare la visita di Netanyahu a Gerusalemme e forse anche quella di Abu Mazen nei Territori palestinesi, probabilmente il 22-23 maggio. Ma le autorità Usa e israeliane non hanno confermato.