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Trump riammette i rifugiati, ma la selezione sarà più stringente

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AC’è la firma di Donald Trump sul decreto che riammette l’ingresso dei rifugiati negli Stati Uniti ma introducendo criteri di selezione molto più stringenti rispetto al passato. E prevedendo in particolare controlli ancor più duri per i cittadini di undici Paesi le cui domande saranno valutate caso per caso. Questi Stati però non vengono per ora identificati dalle autorità Usa. Il decreto pone quindi fine al bando che il presidente americano aveva varato quattro mesi fa.

I nuovi controlli rafforzati comprendono la raccolta di ulteriori informazioni sulla propria vira e la propria famiglia, lo scambio di informazioni tra le varie agenzie federali, l’invio di agenti anti-frode all’estero per verifiche sul posto. In alcuni casi i controlli potrebbero durare anche anni. “La sicurezza del popolo americano è la più alta priorità del governo”, ha commentato il segretario ad interim per la Sicurezza interna Elaine Duke.

Trump, intanto, deve guardarsi dalle fronde interne al partito repubblicano. Dopo i ripetuti attacchi di John Mccain altri due suoi colleghi sono scesi in campo diventando protagonisti di un violento scontro frontale senza precedenti che mette in discussione non solo il presidente, ma anche la metamorfosi del Grand Old Party. Entrambi non hanno più nulla da perdere perché, non ricandidandosi, possono parlare liberamente, dando sfogo ad un malessere probabilmente più ampio dentro il partito.

d accendere le polveri è stato Bob Corker, autorevole presidente della commissione esteri, che aveva già polemizzato con Trump. Corker ha invitato il presidente a non interferire nel lavoro dei parlamentari sulla riforma fiscale e lo ha criticato per la sua pericolosa retorica sulla Corea del Nord. Trump ha replicato su Twitter accusandolo di aver aiutato Obama nell’accordo nucleare con l’Iran e di aver deciso di non ricandidarsi dopo che gli aveva negato l’endorsement. “Non potrebbe essere eletto neppure accalappiacani in Tennessee“, ha aggiunto sarcastico. “Stesse menzogne da un presidente totalmente bugiardo. #Allertare lo staff della Casa di cura per anziani”, gli ha replicato sempre via Twitter Corker, riferendosi allo staff della Casa Bianca. In seguito ha rilasciato un’intervista bomba alla Cnn nella quale lo ha definito “inadatto“, accusandolo di “avvilire” gli Usa con continue menzogne e di “rompere deliberatamente le relazioni americane con gli altri Paesi”. Infine lo ha scaricato ammettendo che ora non lo sosterrebbe più nella corsa alla Casa Bianca e che purtroppo le generazioni future lo ricorderanno per i danni che ha fatto. In una successiva intervista gli ha dato anche del “bullo“.

In una vera e propria “guerra di parole” Trump lo ha definito poco dopo un “incompetente” e un “peso leggero“. A rincarare la dose è arrivato poco dopo il senatore Jeff Flake, il quale ha annunciato che non si ricandiderà nelle elezioni di midterm del 2018 in polemica con Trump e il partito. “Ci sono momenti in cui uno deve rischiare la carriera per i principi“, ha esordito. “Mi alzo per dire ‘è troppo’. Col nostro silenzio e la nostra inazione disonoriamo i nostri principi, io non sarò complice e non starò zitto”. La politica, ha accusato, sta diventando “assuefatta” al “comportamento sconsiderato, vergognoso e indegno” della Casa Bianca. L’efficacia della leadership Usa nel mondo è stata messa in discussione, ha incalzato. Gli Usa, ha proseguito, hanno rinunciato ai principi a favore della rabbia e del risentimento. “L’istinto di trovare capri espiatori e di minacciare” trasforma gli Usa e il partito repubblicano in “gente timorosa e retrograda“, ha concluso, lanciando una sfida anche al Grand Old Party.

Alberto Tuno: