Si raffreddano gli animi con cui gli israeliani avevano accolto l’elezione di Donald Trump a pochi giorni dalla visita istituzionale del presidente Usa nello Stato ebraico.
Non sono pochi i commenti sui media a manifestare dubbi e interrogativi. In testa il liberal Haaretz, che giovedì 18 maggio titolava in prima pagina: “Il love affair della destra israeliana con Trump è passato dall’estasi all’agonia“. Ad aver pesato negativamente sul piatto della bilancia, la questione ancora aperta del trasloco dell’ambasciata Usa a Gerusalemme e la querelle se il Muro del Pianto sia in Israele oppure in Cisgiordania. Non ultimo il presunto leak del presidente Usa al ministro degli Esteri russo Lavrov di informazioni ultra sensibili sull’Isis passategli dai servizi israeliani.
Per quanto riguarda l’ambasciata – il cui spostamento è stato più volte promesso da Trump in campagna elettorale – allo stato attuale, nonostante la ridda di ipotesi, la questione appare congelata. E comunque, come rivelato da una fonte della Casa Bianca, lo spostamento non sarà annunciato durante il viaggio, come molti da queste parti auspicavano. Ma ha creato malumore anche il rifiuto, attribuito al consolato Usa di Gerusalemme, di discutere con gli israeliani della visita di Trump al Muro del Pianto (andrà anche al Santo Sepolcro) con la motivazione che si tratta non solo di una parte privata del viaggio ma anche che il luogo si trova in Cisgiordania e non in Israele.
Su Yediot Ahronot una fonte israeliana ha raccontato che i preparativi della visita “sono nel caos” per i continui cambi imposti: “Non abbiamo veramente nessuno con cui parlare da parte americana“, si è lamentata la fonte. Altro punto di frizione riguarda la visita a Yad Vashem, il Mausoleo della Memoria a Gerusalemme – sosta obbligata per ogni capo di Stato in visita in Israele – a cui Trump avrebbe deciso di dedicare non più di 15 minuti. Appare poi sfumato l’incontro a tre tra Trump, il presidente palestinese Abu Mazen e Netanyahu.