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Trump declassifica il memo anti-Fbi

Il memo è stato declassificato, vedremo cosa succederà”. Non si dilunga nelle spiegazioni Donald Trump, dopo aver autorizzato la pubblicazione dell'ormai famoso memo anti-Fbi stilato dalla Commissione Intelligence della Camera guidata dal reppublicano Devin Nunes. Un documento nel quale, come già spiegato in precedenza, sarebbero contenute le prove dei presunti abusi commessi dagli agenti del bureau durante le presidenziali americane, durante le quali avevano ottenuto l'autorizzazione ha sorvegliare l'entourage del candidato Trump sulla base di indizi raccolti nel dossier di Christopher Steele, agente 007 britannico sul cui ruolo vi fu l'omissione del Ministero della Giustizia. A quanto pare, il membro dell'Intelligence anglosassone è stato per lungo tempo una fonta dell'Fbi e, secondo gli accusanti, ricevette un incarico (pagato) dal Partito democratico e dalla campagna elettorale di Hillary Clinton (il compenso sarebbe stato erogato tramite lo studio legale 'Perkins Coie' ed il gruppo di intelligence privata “Fusion GPS”) affinché stilasse un rapporto non veritiero su collusioni fra lo staff del Tycoon e i russi.

Il rapporto Steele

Quattro pagine quelle del memo, approvate dalla maggioranza repubblicana e divulgate nonostante il veto dei Democratici, del Ministero e della stessa Fbi, con il direttore Wray che, a questo punto, potrebbe veder vacillare una posizione che finora appariva salda (era stato lo stesso Trump a sceglierlo dopo il licenziameno di James Comey). Secondo i Repubblicani, in sostanza, qualora non vi fosse stato il rapporto di Steele, non sarebbe stato possibile mettere in piedi il Russiagate: particolarmente contestata l'attività di sorveglianza svolta su Carter Page, ex consulente della campagna elettorale e, in precedenza, attivo a Mosca in ambito finanziario. Anche in merito a questo controverso aspetto, il presidente statuintense ha sentenziato che quanto sta accadendo ed è accaduto nel Paese “è una vergogna… un sacco di persone dovrebbero vergognarsi”.

Il prossimo futuro

Secondo quanto emerso dal dossier, il rapporto fra l'Fbi e Steele si interruppe dopo che, nel 2016, l'agente svelò ai media i suoi legami con i federali, notizia che non era autorizzato a riportare. Lo stesso vicedirettore dell'Fbi, McCabe, avrebbe dichiarato che senza il dossier non sarebbe stato possibile avanzare richieste di intercettazione, altro aspetto che avrebbe reso impossibile impostare l'intera indagine sulle presunte interferenze russe durante le presidenziali. A questo punto, con l'opposizione a insorgere contro la maggioranza (spiegando che il memo è “un modo per screditare l'Fbi e minare l'inchiesta) e i vertici del bureau ulteriormente in rotta con la Casa Bianca, lo scenario si prospetta alquanto complicato: nel momento in cui il gradimento popolare è in risalita, Trump potrebbe approfittare del memo per riabilitare ulteriormente la sua immagine e destabilizzare l'intera impalcatura del Russiagate. Da valutare anche la posizione di Rod Rosenstein, vice-attorney general e uomo incaricato di supervisionare le indagini di Mueller: anche Rosenstein non si era mostrato convinto della pubblicazione del memo e, secondo alcune fonti americane, uno degli obiettivi della presidenza sarà proprio la sua rimozione (anche se, quest'oggi, il ministro Sessions ne ha preso le difese), con qualcuno che, messo al suo posto, possa contrastare l'inchiesta del procuratore speciale. Tutto in divenire, al momento. Come detto dallo stesso Trump, gli effetti della divulgazione si vedranno nel prossimo futuro.

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