Dopo l’espulsione di 755 diplomatici americani dalla Russia, arriva la ritorsione degli Stati Uniti contro il Cremlino. Donald Trump ha, infatti, ordinato la chiusura entro sabato del consolato russo di San Francisco e e quella di altre due sedi diplomatiche a Washington e New York.
Pronta e rabbiosa la reazione da Mosca: “Reagiremo“, ha tagliato corto il ministro degli Esteri, Serghiei Lavrov, parlando al telefono col segretario di Stato americano, Rex Tillerson, che lo aveva chiamato per informarlo. “Studieremo attentamente le nuove misure annunciate dagli americani, dopodiché verrà comunicata la nostra risposta”, ha spiegato il capo della diplomazia russa, lasciando intravedere un’escalation di questa “guerra diplomatica” (o meglio delle spie) che sta inevitabilmente avvelenando i rapporti tra il Cremlino e la Casa Bianca targata Donald Trump.
Sullo sfondo gli attriti legati alle sanzioni che il Congresso statunitense ha varato contro Mosca, accusata di aver interferito nelle ultime elezioni presidenziali americane. Quell’accusa che portò già Barack Obama alla fine del 2016, poco prima di dire addio allo Studio Ovale, a cacciare via 35 diplomatici russi. Da lì è stato un crescendo di sgarbi e dispetti reciproci.
Nonostante i sospetti che hanno dato vita al Russiagate – con un procuratore speciale e il Congresso che indagano sui presunti legami tra l’ex tycoon e Mosca – quello tra gli Stati Uniti e la Russia continua dunque ad assomigliare a un clima da Guerra Fredda. Anche se sia Trump sia Putin hanno più volte auspicato un miglioramento delle relazioni tra Casa Bianca e Cremlino dopo il gelo dell’era Obama, in cui i rapporti tra i due Paesi (e anche tra i due leader) hanno toccato il livello più basso da decenni.
Il Dipartimento di stato americano ha spiegato senza giri di parole che la decisione di colpire alcune sedi diplomatiche russe (le sedi individuate dovranno chiudere i battenti entro sabato) è proprio la risposta al recente ordine di espulsione di centinaia di americani, entrato in vigore nelle ultime ore. Un ordine definito da una portavoce di Foggy Bottom “immotivato e dannoso”, che non aiuta a ristabilire tra i due Paesi un clima di fiducia. Anche se Trump giorni fa aveva liquidato la questione con una battuta: “Voglio ringraziare Putin perché stiamo cercando di tagliare il nostro personale all’estero e ora dovremo pagare meno gente. Vuol dire che risparmieremo del denaro”. Ben più dure le parole del Dipartimento di Stato guidato da Tillerson, che si è detto pronto a prendere ulteriori misure contro Mosca “se necessario“. Anche se è oramai un dato di fatto che le posizioni dell’ex Ceo del gigante petrolifero Exxon Mobil spesso non coincidono con quelle del presidente.