Tre mesi fa il mondo si fermava attonito di fronte le scene dell’attentato che avrebbe violato per sempre il concetto di libertà di stampa fondamento della Carta Costituzionale che ogni Stato dovrebbe garantire. L’assalto alla redazione di Charlie Hebdo ha terrorizzato la Francia e con lei l’interno Occidente. Il settimanale satirico parigino ha perso una decina tra giornalisti e disegnatori, due i poliziotti rimasti uccisi durante la strage, un bilancio di vittime che segue il grido di “Allah è grande” con cui hanno fatto irruzione negli uffici i due estremisti islamici che volevano vendicare il profeta dopo la pubblicazione di alcune vignette considerate irrispettose.
Dopo una prima reazione a caldo che ha mosso due milioni di persone in marcia nella capitale francese sotto l’unico slogan “Je suis Charlie”, in segno di protesta contro il terrorismo e che ha permesso la vendita di 7 milioni di copie del numero speciale con Maometto che piange in copertina, la redazione del settimanale satirico è stata costretta a fermarsi fino al 25 Febbraio. Le vittime sono state freddate senza pietà dopo che gli aggressori sono entrati a volto coperto nelle stanze dove lavoravano il direttore Stéphane Charbonnier, in arte Charb, Georges Wolinski,Bernard Verlhac aka Tignous, Michel Renaud, Philippe Honoré, Mustapha Ourrad, Elsa Cayat, Bernard Maris economista del settore, Fréderic Boisseau addetto alla portineria e il poliziotto Ahmed Merabet.
Dall’evento che il 7 gennaio scorso ha scosso il mondo intero con la nuova ondata di terrore, è nata la volontà di voler capire e reagire, non con le armi ma con il dialogo ed è per questo che negli ultimi mesi si sono sviluppati numerosi dibattiti che hanno posto al centro dell’attenzione il tema della libertà di espressione e dei suoi confini.